#6 No, il self-care non è quello che credi
Com'è che un atto di femminismo radicale, potentemente connaturato nel concetto di Cura olistica e nelle medicine tradizionali, è diventato il braccio armato di un’industria multimilionaria?



Ciao, sono Nina Gigante, una giornalista, Holistic Nutritionist for body and soul® e Integrative Health and Wellness Coach (UK, USA). Sono anche membro dell’AIHC (Associazione Italiana Health Coach).
Ogni giovedì qui troverai spunti di benessere integrato che spaziano tra Oriente e Occidente e, saltellando tra pratiche millenarie e le più recenti scoperte scientifiche, ti aiutano a tornare a casa da te stessa. Non per diventare la "versione migliore di sé”, ma, al contrario, per stare meglio con ciò che si è: anche questa è Medicina.Terracielo usa, fin dalla prima puntata, il femminile sovraesteso.
Un femminicidio ogni tre giorni. Un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa (in Italia lavora solo una donna su due). Un gender gap che pesa come un macigno: a parità di impiego, gli uomini italiani guadagnano 8.000 euro in più all’anno. Ma non preoccupatevi: ma tra 168 anni yuppi andrà meglio!
Eppure, ogni anno, la mia casella di posta si riempie di email che suonano più o meno così:
“Per la Festa della Donna (perché sì, siamo gli unici al mondo a chiamarla ‘festa’), prenditi un momento per te.”
E regalati questo gioiello, queste mutande, questo siero. Mi aspetto, da un momento all’altro, che spunti Mastrota con un set di pentole.
E alla fine, puntuale come sempre, arriva il sigillo:
👉 “Amati un po’ di più.”

Più che una Giornata internazionale di lotta, denuncia e rivendicazione, in Italia l’8 marzo è diventato una sorta di San Valentino dell’amore per se stesse. E questa narrazione del “volersi bene” attraverso un gioiello, della cura di sé che passa per un siero o l’ennesimo paio di mutande, mi fa venire i brividi. Non solo lotto marzo, intendiamoci.
Mi irrita l’abuso dei concetti di self-care e self-love, ormai usati come sinonimi quando non lo sono affatto. Peggio ancora, entrambi sono diventati sinonimi di un unico imperativo: consuma!
Prova a cercare #selfcare su Instagram: 83 milioni di post. #Selflove? 113 milioni. E in mezzo? Un collage di quarzo rosa, affermazioni positive, mascherine di seta, schiene pronte per un massaggio, selfie alle terme, yoga mat, mazzi di fiori autocomprati, piedi che sbucano da vasche piene di schiuma.
Nessun giudizio, eh. Se vai indietro di qualche anno, quei post su Instagram li ho fatti anche io.
Ma mi chiedo e ti chiedo:
Quand’è che un atto di femminismo radicale, profondamente radicato nella Cura olistica e nelle medicine tradizionali, è stato trasformato nell’ennesima leva di un’industria multimiliardaria?
Com’è possibile che il capitalismo sia riuscito a convincerci a spendere soldi per curare i mali che lui stesso ci infligge? Burnout, ansia, senso di inadeguatezza, mancanza di tempo per sé: stati d’animo che non sono anomalie personali, ma sintomi di un sistema che ci vuole costantemente affaticate, frustrate, dipendenti da soluzioni che passano sempre attraverso il consumo.
Perché il problema non è che ci sentiamo sopraffatte. Il problema è che ci fanno credere che l’unica soluzione sia comprarci una maschera viso o un ennesimo paio di slip.
TERRACIELO DI OGGI prova a riavvolgere il nastro e fare un po’ di chiarezza su:
🔍 La trappola del falso self-care: cosa ci hanno fatto credere che sia e perché, spesso, è solo un’illusione confezionata dal mercato.
✨ Il vero significato di self-care e self-love: da dove vengono, perché sono pratiche femministe e, anche se sembra controintuitivo, perché sono processi collettivi, non individualistici.
Capire che prendersi cura di sé non significa solo comprare, ma reclamare spazio, tempo e autodeterminazione: anche questa è Medicina. Anche con una maschera in faccia, perché no.
1. Cosa ci hanno fatto credere che sia self-care
Dormire quando sei stanca. Prepararti un piatto di pasta con amore. Farti un bagno caldo. Persino andare alle terme, farti una maschera, passare una serata con le amiche. No, non sono atti di self care né di self love. Se ti sembra strano, lo capisco: da anni, giornali, brand, wellness industry, influencer ci convincono del contrario.
«La cura di sé è esplosa nella nostra coscienza collettiva come una panacea per praticamente tutti i problemi delle donne» spiega la psichiatra Pooja Lakshmin in Real Self Care, un libro in cui mi sono imbattuta un annetto fa, mentre mi arrovellavo su come sopravvivere stritolata tra l’essere freelance, avere rate di mutui alle stelle e una casa da ristrutturare, un paio di traslochi all’orizzonte e un bimbo di un anno da accudire. Ero sull’orlo di una crisi di nervi e mi sentivo anche in colpa per non riuscire a trovare tempo per me stessa. Per non riuscire a “prendermi cura di me”.
Perché, diciamolo: “Non ti basta meditare per uscire da una settimana lavorativa di 40 ore senza aiuti per tuo figlio.”
La narrativa del self-care patinato – cristalli, detox, smoothie e bagni di schiuma – è una risposta parziale (se vogliamo essere gentili), manipolativa e pericolosa (se vogliamo essere oneste).
Perché per prendersi cura di sé non basta un’ora di spa tra un sovraccarico e l’altro. È un atto profondo di consapevolezza: guardarsi dentro, stabilire confini, riconoscere i propri bisogni e scegliere cosa tagliare o trasformare per stare meglio.
2. I rischi di questo falso self-care
Anzi, queste false pratiche di self-care ci portano a guardare sempre fuori di noi: a cercare benessere in un oggetto da comprare, in un massaggio da prenotare, in tempo che – invece di liberarci – finiamo per riempire di altre cose da fare, fare, comprare.
Lo senti il ticchettio della macchina capitalista in sottofondo?
E così, anziché prenderci cura di ciò che ne avrebbe davvero bisogno – il nostro mondo interiore, i nostri valori, i confini che (non) riusciamo a porre nelle relazioni, sul lavoro, nella vita – ci troviamo invischiate in un loop di consumo travestito da amore per sé.
Ma il problema non siamo noi. Il problema è il sistema.
Un sistema rotto – lavorativo, sociale, economico, culturale – che ci spreme fino all’osso e poi, con impeccabile cinismo, ci vende soluzioni per “ripararci”. Ovviamente, a pagamento.
Ti ho ridotto a pezzi? Ecco, adesso ti vendo anche il cerotto.
Ti ho svuotata di energie con ritmi insostenibili, precarietà, carichi di cura squilibrati? Ecco un integratore per far sembrare tutto meno stancante.
Ti ho convinta che non sei mai abbastanza? Ecco un percorso di self-love (in 10 rate mensili).
Ti ho incastrata in un sistema che ti chiede di fare sempre di più, senza mai fermarti? Ecco un bagno di schiuma per rilassarti un’ora… prima di tornare a correre.
Il punto è proprio questo: più fragili siamo, più sarà facile venderci la cura.
Ma il vero self-care non si compra. Si costruisce.
A dispetto del nome, questo self-care non cura affatto: è solo un palliativo.
“Stiamo sedando le donne con il self-care”, scrive la giornalista Katherine Rowland sul Guardian.
Queste pratiche non solo anestetizzano, distraendoci dai problemi reali – un sistema che considera normale lavorare fino allo sfinimento, senza supporti, schiacciate tra lavoro sottopagato fuori casa e lavoro di cura non pagato dentro casa – ma sono anche profondamente escludenti.
Perché il self-care venduto come lusso, come esperienza da acquistare, richiede tempo, soldi, privilegi. E chi non può permetterselo? Semplice: resta fuori.
Il New York Times ha dato un nome a questo fenomeno: la Goopification della cura di sé, dal brand di Gwyneth Paltrow. Un’industria multimiliardaria che trasforma il self-care in un prodotto di nicchia, rendendolo accessibile solo a chi può pagarlo.
2. Che cosa sono davvero self-care e self love. E perché, anche se sembra controintuitivo, sono processi collettivi e non individualistici
Chiariamoci: io amo farmi una maschera, yoga, passare qualche ora dal parrucchiere, cominciare la giornata con un cappuccino d’avena nel mio baretto del cuore, regalarmi una pianta o un libro, comprare lingerie. Quando riesco a fare anche solo una di queste cose la mia giornata migliora.
Ma se non mi fermo anche a guardare ciò che nella mia vita va cambiato, se non mi pongo domande scomode su ciò che mi sta logorando, non andrò lontano. Vale per qualsiasi sintomo: se lo ignori o lo copri, tornerà a farsi sentire. E più forte di prima.
Ma allora, cosa significa davvero prendersi cura di sé?
✨ Self-care è un processo interiore. Implica decisioni difficili, spesso dolorose, per allinearsi ai propri valori. Come scrive Pooja Lakshmin, non è una fuga temporanea, ma un atto che trasforma le nostre relazioni, il lavoro, i sistemi in cui siamo immerse.
✨ Self-love non è individualismo. Come ci ricorda bell hooks, “L’amore per sé non può fiorire nell’isolamento”. Non è un privilegio da acquistare, ma un processo di consapevolezza che ci riporta a noi stesse e alle altre.
✨ Prendersi cura di sé è anche prendersi cura del mondo in cui viviamo. Se il benessere diventa un lusso, un privilegio di poche, allora non è vero benessere. Non possiamo chiamarlo self-care se non tiene conto delle condizioni materiali, sociali ed economiche che lo rendono inaccessibile a molte.
Audre Lorde lo diceva chiaramente: “Caring for myself is not self-indulgence, it is self-preservation, and that is an act of political warfare.” (Prendersi cura di sé non è autoindulgenza, è autopreservazione, ed è un atto di guerra politica.)
Se il self-care è diventato un’arma nelle mani del mercato, è il momento di riprendercelo. Di tornare alla sua essenza: cura, consapevolezza, trasformazione.
Perché non è con un roll-on di giada o una crema miracolosa che cambieremo le nostre vite. E di certo, non cambieremo il mondo.
Il vero self-care: un ritorno a casa, non una fuga
Prendersi cura di sé significa stabilire confini, superare il senso di colpa, trattarsi con auto-compassione, riavvicinarsi a sé stesse. Significa, in altre parole, tornare a casa.
Altro che massaggi e candele profumate: qui c’è da faticare.
Perché, come dice bell hooks, “non si nasce esperte nell’arte di amarsi”. E imparare a volersi bene non è affatto facile. Richiede un lavoro profondo: disimparare ciò che ci è stato insegnato, accogliere le parti di noi che ci viene più naturale odiare o criticare, ascoltare il nostro dolore, riconoscere i nostri bisogni.
Ma questo, purtroppo, non si trova fuori di noi.
📖 Nicoletta Cinotti, in Imparare a volersi bene, scrive:
“Tutti sappiamo cosa significa prendersi cura. Lo facciamo con le piante, la casa, i figli, il lavoro. Ma quando si tratta di rivolgere questa cura a noi stesse, il meccanismo si inceppa, come una ruota dentata che sobbalza in continuazione. Abbiamo paura della profondità della cura. Proseguiamo a cercare fuori qualcosa che possiamo trovare solo dentro.”
💡 Imparare a prenderci cura di noi (self-care) è il mezzo. Imparare ad amarci e accettarci (self-love) è il fine.
Ma l’amore per noi stesse non può fiorire nell’isolamento. Il self-care non è (solo) un atto individuale, ma un processo collettivo e politico.
🔹 Non è autoindulgenza, è autopreservazione. “Caring for myself is not self-indulgence, it is self-preservation, and that is an act of political warfare”, scrive Audre Lorde.
🔹 Non è un lusso, è un diritto. Se il benessere diventa un privilegio per poche, allora non è vero benessere.
🔹 Non è consumo, è trasformazione. “Quando pratichi la vera cura di te, non solo ti prendi cura di te stessa, ma stai piantando i semi per il cambiamento nella tua comunità”, scrive Pooja Lakshmin.
E allora, non possiamo chiamarlo self-care se le uniche armi a nostra disposizione sono un roll-on di giada, un siero costosissimo o una vasca piena di schiuma.
Perché sarebbe come guardare il dito e permettere che si mangi la luna intera.
Grazie per aver letto Terracielo anche questo giovedì.
E soprattutto buon lottomarzo. Buon - vero - ascolto dei vostri bisogni.
Anche, perché no, immerse in una vasca profumata con una maschera in faccia.
A giovedì prossimo!
Inspira Espira Clicca qui:
bell hooks, Tutto sull’amore, Feltrinelli 2000
Dr. Pooja Lakshmin, Real Self-Care: A Transformative Program for Redefining Wellness (Crystals, Cleanses, and Bubble Baths Not Included), Life - Penguin Random House, 2023
We’re sedating women with self care - The Guardian
Boundaries, burn out and the "Goopification" of Self-care - The New York Times
Un’analisi così chiara e pulita da essere manifesto. Non ci ho mai creduto al self care, ma non avrei saputo metterlo nero su bianco in questo modo così brutalmente lucido. Ti abbraccio!
Grazie, perché sto rileggendo Tutto sull’amore di Bell Hooks 🙏🏻