#22 Ma tu piangi?
Cerchiamo di asciugarle in fretta. Di coprire gli occhi gonfi dietro gli occhiali da sole. Eppure le lacrime sono una delle più belle forme di espressione corporea. Piangiamo perché siamo vivi.
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Piangere non indica che sei debole. Fin da quando sei nato, è il segno che sei vivo
Charlotte Brontë
Per anni non ho pianto. Poi un giorno, nello studio di uno psicoterapeuta, mentre rovistavamo tra le pieghe del mio onnipresente mal di pancia, mi sono sentita porre una domanda che non avrei più dimenticato: Ma tu? Tu piangi?
Mai, ho risposto, non ricordo l’ultima volta che ho pianto. Dicendolo ho sentito qualcosa incrinarsi. Un rumore sordo, dentro, più in basso della gola, tra il petto e le costole. E ho cominciato a piangere. E da allora credo di non aver più smesso.
Chi mi conosce lo sa: io piango per tutto. Ogni cosa può commuovermi fino alle lacrime. Le cose molto belle, le cose molto brutte, le cose apparentemente insignificanti per gli altri mi attraversano fino a farmi lacrimare.
Piango ogni volta che leggo Piccole Donne, anche se è la milionesima volta che Beth muore. Ho pianto di gioia entrando nella casa di Piccole Donne: la casa di Louisa May Alcott a Concorde, in Massachusetts. Piango quando vedo i bambini ridotti in macerie, a Gaza. Ho pianto in Messico, unica italiana dentro il Santuario della Vergine di Guadalupe. Su una spiaggia di Creta, inseguendo i cavalloni. Ho pianto quando ho saputo che sarebbe arrivata Zoe ad allargare i cuori di Giulia, Frida e Mattia. Piango quando mia cugina Elena canta suonando la chitarra. Piango a ogni matrimonio, a ogni funerale. Ho pianto la prima volta che, in una sera di giugno, in Umbria, ho visto le lucciole. Sapendo di averne una nella pancia.
Piango, tanto, eh sì. Anche se molto spesso desidererei non farlo. Mando giù la saliva, cerco di inghiottire quel groppo che mi sale in gola e che sembra voler uscire liquido dagli occhi, sperando forse di ributtarlo giù, nello stomaco. Confidando nella forza di gravità, spero che trascini indietro con sé anche quella lacrima che se ne sta lì, dietro le palpebre, pronta a rigarmi le guance.
La notte in cui è nato mio figlio, in quella stanza di ospedale sola con lui, credo di aver capito contemporaneamente il significato profondo delle nostre lacrime e la grande beffa della nostra cultura. Piangiamo perché siamo vivi, per comunicare agli altri che abbiamo bisogno di loro, per comunicare a noi stesse che abbiamo bisogno di fermarci e prenderci cura delle emozioni che ci attraversano.
Piangiamo per liberarci. Piangiamo per calmarci. Piangiamo per esprimerci. Il pianto è un richiamo speciale, ancestrale, un gesto che senza parole urla bisogno di contatto e connessione: ci mostra in tutta la nostra umana vulnerabilità agli occhi di chi ci è tanto vicino da non poter ignorare le nostre lacrime.
Eppure, per uno stigma - assurdo come ogni stigma e forse persino un po’ di più, perché si tratta di un atto fisiologico - ce ne vergogniamo. Ci nascondiamo quando ci commuoviamo in pubblico: asciughiamo gli occhi in tutta fretta, li camuffiamo dietro un paio di occhialoni da sole. Buttiamo via le lacrime, furtivamente, insieme al fazzoletto sporco.
Per questo, venendo fuori da due giorni in cui ho pianto più del solito, ho deciso di dedicare Terracielo di oggi alle lacrime. Sperando di alleggerirle un po’ del peso culturale che portano con sé. Per gli uomini quanto per le donne (lo capirai alla fine, al punto 5).
Come vedrai, a cominciare dal titolo questa puntata è piena di domande. E le risposte, te lo anticipo già, sono piene di condizionali: sembrerebbe, sarebbe, parrebbe. Ti stupirà sapere che sulle lacrime, che esistono da quando esistono gli esseri umani, la scienza ha pochissime certezze. Forse perché “sono una cosa da signorine” (Boys don’t cry) e non interessano a nessuno? Cominciamo.
1. Le lacrime sono tutte uguali?
"La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime o il mare" diceva Karen Blixen, in una frase che da brava pugliese dalla lacrima facile, cito spesso. Ma sai perché le lacrime sono salate? Perché sono composte di acqua e molecole utili a disinfettare, pulire e proteggere gli occhi, come proteine, lipidi, enzimi antibatterici e ioni di sodio, il sale appunto, che, oltre ad aumentare il potere disinfettante, le rendono sapide. Ma le lacrime non sono tutte uguali. E le differenze mi lasciano sempre senza fiato.
Esistono lacrime cosiddette basali, utili per esempio a mantenere l’occhio idratato, lacrime riflesse, utili a rispondere a uno stimolo irritante (la classica cipolla, il moscerino nell’occhio) e lacrime emotive, che il corpo produce a seguito di una forte emozione, gioia o tristezza che sia. L’etimologia di emozione vuol dire proprio questo: “é-movere” in latino significa trasportare fuori, rimuovere, smuovere. L'emozione è dunque qualcosa che ci fa spostare, muovere dal nostro stato abituale. E la lacrima (latino lacrĭma, derivato dal proto-indoeuropeo *dáḱru-, divenuto dácruma in latino arcaico, da cui lacrima) non sarebbe altro che il veicolo materiale, il nastro trasportatore di questa e-mozione.
Quando parlo dell’intelligenza del nostro corpomente - della sua perfezione, dell’incredibile meraviglia del suo mistero - mi tornano spesso in mente proprio le lacrime emotive. Guardate al microscopio, sono infatti diverse da tutte le altre: sono meno salate (il corpo sa di non dover “disinfettare” gli occhi da niente), ma contengono livelli più alti di proteine, manganese (essenziale per la coagulazione del sangue), potassio (indispensabile per regolare la pressione) e ormoni che hanno un ruolo chiave nella regolazione del sistema immunitario (come prolattina e corticotropina e altri “ormoni dello stress”). Gli scienziati non saranno tutti concordi con quello che sto per scrivere, ma a me pare che il nostro corpo sappia perfettamente perché scoppiamo in lacrime, per esempio dopo un forte dolore emotivo o fisico: dentro le nostre lacrime troviamo tutte quelle sostanze che il corpo ha prodotto in risposta a un evento traumatico e che, proprio grazie al pianto, possono essere espulse, prevenendo così rischi cardiaci e riportando velocemente l'equilibrio nel nostro corpomente.
E non finisce qui. A differenza delle altre, le lacrime emotive contengano alti livelli di encefaline, neurotrasmettitori della stessa famiglia delle endorfine. Sono degli “antidolorifici naturali”: una sorta di oppioidi endogeni, che, secreti a livello del cervello, ci aiutano ad abbassare la sensazione di dolore, rendendolo più tollerabile.
In altre parole: le lacrime fisiologiche proteggerebbero gli occhi dai pericoli del mondo. Le lacrime emotive proteggerebbero il cuore dai traumi. E gli offrirebbero anche un rimedio, immediato, per stare meglio.
2. Perché piangiamo?
Che sia per un grande dispiacere, per un grande trauma corporeo (un incidente, un dolore fisico) o per una gioia immensa (pensa a quando ridi tanto da arrivare a piangere), sembriamo produrre lacrime con un solo obiettivo: dare al corpo un modo rapido ed efficace per ristabilire l’equilibrio emotivo e fisiologico. Per riportarci a casa, in fretta, e in uno stato di calma. Per questo, è probabile che proprio queste lacrime - quelle emotive, di cui ci vergogniamo tanto, fingendo pagliuzze nell’occhio - abbiano una funzione biologica importantissima: offrirti una grande valvola di sfogo e aiutarti a stare meglio, subito. Il pianto, infatti, è il risultato di un’affascinante “reazione a catena” nel corpo, che nasce lontano dagli occhi.
Per molto tempo si è creduto che le lacrime fossero prodotte all’interno cuore: nell’antico testamento, sono descritte come la conseguenza dell’indebolimento del cuore, che diventa acqua e esce dagli occhi.
Oggi sappiamo che non nascono nel cuore ma nel cervello, in particolare nella struttura del cervello che gioca il ruolo più importante nella gestione delle emozioni:
Quando proviamo un’emozione, l’amigdala stimola il sistema nervoso a produrre un neurotrasmettitore chiamato acetilcolina che a sua volta provoca l’attivazione del sistema lacrimale. [se vuoi approfondire, ti lascio un link qui]
Il pianto è quindi in stretta connessione con il nostro sistema nervoso, in particolar modo quello parasimpatico, che io amo chiamare il nostro “freno dello stress”. Infatti, quando piangiamo, oltre alle lacrime, produciamo ormoni del benessere, come ossitocina ed endorfine, e
un ormone chiamato adrenocorticotropo (ACTH), che regola la gestione dello stress, e le encefaline, un antidolorifico naturale. Anche per questo motivo spesso dopo aver pianto ci sentiamo meglio.
E, secondo la maggior parte degli scienziati, siamo gli unici “animali” a farlo consapevolmente: alcuni mammiferi - le tartarughe o gli elefanti, per esempio - piangono sì in situazioni stressanti, ma si tratterebbe di una reazione liberatoria (fisica, appunto) e non di una manifestazione consapevole del proprio dolore.
Altro che vergognarci o reprimere le lacrime: piangere fa bene. «Per ridurre lo stress è molto più efficace piangere che ridere o dormire. Piangere migliora il sistema immunitario. Se piangi una volta a settimana, puoi vivere senza stress» dice Hidefumi Yoshida, un “tears teacher”, un maestro di lacrime che gira il Giappone reinsegnando agli adulti a piangere in una società che considera un valore la capacità di trattenere le lacrime.
Se hai 11 minuti, trovi qui un breve docufilm su di lui e sui benefici del pianto.
3. Perché piangiamo quando vediamo qualcuno piangere?
Uno dei motivi per cui piangiamo sarebbe comunicare con gli altri. Ovvero, secondo alcuni scienziati, il vero motivo evoluzionistico per cui abbiamo sviluppato il pianto emotivo.
A me succede sempre di piangere quando un’amica mi racconta qualcosa che mi tocca nel profondo. Ma anche al cinema o guardando una serie tv (ho dovuto smettere di guardare This is us perché di mattina avevo sempre gli occhi gonfi), anche se sono cosciente che si tratta ovviamente di lacrime finte. Ma perché succede? Secondo alcuni studiosi, in questo meccanismo risiede una spia del perché noi esseri umani piangiamo (di dolore) e gli altri mammiferi no (provano ovviamente dolore emotivo, ma lo esprimono con versi, lamenti, grida, non con le lacrime): siamo animali sociali e il pianto ci permette di comunicare in modo profondo, sottile e preciso con chi fa parte della nostra cerchia più ristretta.
Empatia e compassione giocherebbero infatti un ruolo chiave nello scatenare le lacrime, che lanciano un segnale d'allarme così forte che stimolerebbe l'interlocutore a mettere da parte la sua aggressività. Studi di neuroscienze confermano che, quando vediamo qualcuno piangere, si attivano nel nostro cervello le stesse aree neuronali che ingaggiamo quando a piangere siamo noi. E questa capacità empatica - piangere vedendo qualcuno piangere - sarebbe qualcosa che solo la specie umana possiede.
Piangere mentre si sospende la propria incredulità ci connette alle emozioni della vita reale. […] Uno studio ha mostrato che la capacità di piangere durante i film in realtà richiede una forza emotiva davvero straordinaria. Questa esperienza di grande empatia, in cui ci immergiamo nei sentimenti di qualcun altro anche se immaginari, dimostra la profondità della nostra capacità emotiva*. Pepita Sandwich, Piangere, Sonda
*scusate, questo sassolino è per il mio fidanzato, che mi prende sempre in giro quando mi vede piangere guardando un film. Tiè.
4. Perché dopo un pianto mi sento meglio?
Piangiamo quindi per segnalare all’altro che stiamo male. Ma anche per segnalarlo a noi stesse.
Congratulazioni! Riesci a sentire il tuo cervello! Quando provi un sentimento potente e i segnali nel tuo cervello cominciano ad accendersi, hai l’impressione che tutto il tuo corpo esprima ciò che stai vivendo. Piangere per una forte emozione significa riconoscere la mente attraverso il corpo
scrive la fumettista e artista visiva Pepita Sandwich in The Art of Crying , uno stupendo libro illustrato sul potere curativo delle lacrime finalmente edito anche in Italia da Sonda.
Hai presente quella sensazione di essere una pentola a pressione, lì lì sul punto di scoppiare, che poi passa dopo essere “scoppiata” (appunto!) a piangere? Ecco, quello che chiamiamo pianto liberatorio potrebbe avere anche questa funzione: far sfiatare la valvola del troppo pieno (o troppo triste, troppo arrabbiata, troppo frustrata ecc.) e rilasciare in modo somatico (corporeo) emozioni profonde, che magari che non ci siamo permesse nemmeno di ascoltare per tanto tempo. Attraverso il pianto, non solo ce ne liberiamo, ma le vediamo, spesso per la prima volta. Dal punto di vista energetico, piangere ha la stessa funzione di una risata: liberare energia repressa. Non a caso dopo un pianto, o una risata, prendi fiato e respiri in modo più profondo.
5. È una cosa da signorine?
Se googli un po’, troverai tantissimi dati sul fatto che le donne piangano più degli uomini. In media, in un range che va dagli occhi umidi al singhiozzo, le donne piangono 5, 3 volte al mese, gli uomini 1,3 volte. Questi dati sono frutto di uno studio svolto negli Anni ‘80 dal biochimico William Frey, sostanzialmente confermati in tempi più recenti da diversi studi analoghi.
Perché succede? Molte di queste ricerche attribuiscono la causa al genere e alla fisiologia ormonale: il testosterone inibirebbe il pianto, la prolattina - presente in livelli più alti in chi la le mestruazioni, come sa bene chiunque abbia crisi di pianto nei giorni prima del ciclo - lo favorirebbe; altri (vergognosi: non la linko ma include una rivista scientifica molto nota in Italia!) la attribuiscono a un modo acquisito, che le donne (“il sesso debole” cit.) avrebbero trovato per ricattare gli uomini (WTF) compensando la minore forza fisica.
Il mio punto di vista sull’argomento rispecchia in pieno quello di Pepita Sandwich, a riprova del fatto che, a volte, essere uno scienziato non ti mette al riparo dal dire scemenze e che gli artisti, spesso, possano vederci più chiaro di chi guarda la vita dietro un microscopio. Quindi te lo racconto con le sue parole:
La società ha creato modelli di genere e gioca un ruolo importante nel modo in cui gli esseri umani si comportano quando piangono. È opinione comune che le donne piangano più degli uomini, ma questa differenza non è congenita. Durante il periodo dell’infanzia, la disparità tra il pianto dei maschi e quello delle femmine è minima.
A partire dagli 11 anni, tuttavia, le differenze nella tendenza e nella frequenza del pianto cominciano ad aumentare tra i generi assegnati. Questo cambiamento nella produzione di lacrime sembra essere il risultato di una riduzione delle lacrime maschili, più che di un aumento di quelle femminili. A quest’età le ragazze dicono di sentirsi meglio dopo aver pianto, i coetanei maschi sostengono il contrario.
Dal punto di vista fisiologico l’utero piange di più (…). Ma il desiderio di piangere non è solo un fattore biologico. Il patriarcato ha sempre controllato le nostre lacrime.
A un certo punto di ogni mia relazione romantica il partner di turno mi ha domandato perché piango così tanto e io ho ribattuto chiedendogli perché non lo facesse lui. Il fatto è che le donne sono state educate a piangere più che a esprimere la rabbia, mentre gli uomini cisgender sono condizionati a esprimere la propria rabbia, quando in realtà potrebbero avere voglia di piangere.
Il modo in cui si insegna ai bambini a esprimere le emozioni ha un certo impatto sulla loro percezione e sul comportamento. I maschi sono spesso educati a nascondere l’infelicità ed esprimere la rabbia, mentre le ragazze vengono educate a fare l’opposto. Questo risulta evidente nel ben noto detto “Boys don’t cry”.
Quante volte abbiamo sentito dire a un bambino: «smetti di piangere, non fare la femminuccia?» Direi che è ora di farla finita. Con queste frasi, non con le lacrime.
Grazie per aver pianto con me questa settimana. Terracielo torna come sempre giovedì prossimo, gulp è già luglio.
Link utili:
Piangere (Sonda): il libro della fumettista e artista visiva Pepita Sandwich sul potere curativo delle lacrime che ho tanto citato nella newsletter. Stupendo!
“Tears Teacher” è un docufilm di 11 minuti sul potere curativo delle lacrime: sulla salute emotiva, la vulnerabilità, lo stigma, la forza. Segue Hidefumi Yoshida, un “tears teacher”, un maestro di lacrime e la sua Crying therapy, con cui reinsegna agli adulti giapponesi a piagere.
Quello che la scienza (non) sa delle lacrime
C’è tantissimo lavoro dietro ogni puntata di questa newsletter: se ti va, qui puoi offrirmi un cappuccino (d’avena). Questa settimana va bene anche un enorme pacco di fazzoletti, grazie.
Grande emotiva qui, figlia di un padre che ho visto piangere più volte e mi è sempre sembrata una cosa meravigliosa. Mi impegnerò con tutta me stessa per lasciar coltivare liberamente il pianto alla mia bambina e al mio bimbo. Grazie per le tue parole che leggo sempre tutte d'un fiato amica lontana!
Da madre di un figlio maschio e di una figlia femmina vedo bene la differenza con la quale è affrontato il loro pianto al di fuori delle mura domestiche. Un giorno mio figlio mi ha detto, dopo l'ennesimo pianto a scuola, "Ma qual è il problema se piango?". Mi ha fatto capire che è più un problema degli altri nei confronti delle nostre emozioni piuttosto che il nostro