#24 Una musica può fare
Le tue playlist sono un armadietto delle medicine. La musica può farti fare meglio tutto quello che fai: rilassarti, concentrarti, guarire, far l'amore. Con le canzoni approvate dalle neuroscienze.
Se preferisci ascoltare questa puntata di Terracielo, puoi cliccare qui:
In quarant’anni di pratica medica, ho scoperto che solo due tipi di “terapia” non farmaceutica sono di vitale importanza per i pazienti con malattie neurologiche croniche: la musica e i giardini.
Oliver Sacks
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Inutile negarlo: ho ancora negli occhi, nel cuore e nella testa (che non smette di cantare, credo anche mentre dormo) il concerto dei Tre Tenori (FabiSilvestriGazzé) al Circo Massimo a Roma sabato scorso. E allora Terracielo di questa settimana non poteva che partire da quel luna park di endorfine mischiate al sudore, da quelle cinquantamila bocche spalancate contro il cielo e quelle centomila gambe appicicose e saltellanti per esplorare “quello che la musica può fare” (a questo link, un reperto live della serata) alla tua vita, anche quando la ascolti senza muoverti dal divano di casa o la metti come sottofondo mentre cerchi di concentrarti.
Che poi (spoiler): ma la musica in sottofondo ci concentra davvero? Leggi e lo scoprirai.
Oggi parliamo di musica. Anche questa è medicina. Cominciamo.
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Una casa piena di musica
Mio nonno, il papà di mio padre, è stato un compositore, un direttore d’orchestra, un Maestro di musica. Il Maestro Aldo Gigante. Il primo maestro di musica di Riccardo Muti, quello che deve aver pensato: “caspita, questo bambino ha talento”. E come dargli torto.
Tra i ricordi più vividi della mia infanzia ci sono cinque rampe di scale. Di quelle con il lucernario in alto e i gradini in pietra dei vecchi palazzi del Sud, altissime per me minuscola. Portavano “alla casa della musica”: quella di Nonno Aldo e nonna Nina. Era nel centro della città , affacciata sulla piazza principale del paese e varcare la soglia del portone era già entrare in un luogo un po’ magico. L’androne enorme era fresco e silenzioso, come solo i portoni dei vecchi palazzi del Sud sanno essere, ma, rampa dopo rampa, gradino dopo gradino, l’aria si saturava di note. Un tintinnio di tasti bianchi e neri, e do-o-o-o-re-e-e-e (se hai mai studiato solfeggio, sai di cosa parlo!), arpeggi, accordi e tempi in quattro quarti che sembravano saltellare fuori dalla porta dietro cui mio nonno, mia nonna e mia zia Cecilia “facevano lezione”.
Dentro quella casa, oltre il pianerottolo e la porta, pianoforti a coda, violini, chitarre, spartiti, metronomi, diplomi, bacchette per dirigere l’orchestra, premi, foto della banda del paese e mezzi busti di compositori erano sparsi ovunque. Tutto, tra quelle pareti, sembrava avere una sola voce: quella delle sette note.
E mentre mi accingevo a fare l’ennesima lezione di solfeggio con mia nonna Nina o a suonare per l’ennesima volta Il trenino fa ciuf ciuf seduta al pianoforte con mio nonno Aldo, ricordo l’incredulità davanti al fatto che fossero solo quelle sette note - che io a mala pena riconoscevo sul pentagramma - a produrre così tanti mondi. Diversi, armoniosi, stonati, spesso da ripetere, a volte irripetibili perché frutto di un’improvvisazione. Mi sembrava che tutto fosse tutto così confuso eppure ordinatissimo: un universo parallelo con leggi proprie, che mi affascinavano ma che non capivo fino in fondo. Proprio come succede con la magia.
Io, come è noto, non sono diventata una musicista e le mie abilità con le note non sono andate molto oltre quel Trenino fa ciuf ciuf, nonostante nel tempo abbia sottoposto nonno - e me - a estenuanti lezioni di piano prima e chitarra classica poi. Ricordo ancora lo sguardo di nonno, a metà tra l’esterrefatto e il disperato, quando un giorno, al liceo, dopo pranzo, gli ho chiesto di insegnarmi a suonare la viola. Elettrica.
“È intelligente ma non si applica” potrebbe aver pensato: mi mancavano la disciplina, il rigore, la costanza, la dedizione, l’amore per la ripetizione ossessiva di qualcosa fino a raggiungerne la perfezione. Tutte cose in cui lui, invece, era maestro. Ma in quella “casa della musica” io sono tornata spesso con il pensiero, anche ora che i miei nonni non ci sono più e che la casa è abitata da chissà chi.
Ci torno ogni volta che ho i brividi per una canzone, che osservo la concentrazione assoluta di un musicista sul suo strumento, che mio figlio muove le dita in aria facendo finta di suonare il piano mentre ne ascoltiamo uno in radio.
Ci sono tornata persino al concertone del Circo Massimo: che la sentiamo da soli, a casa nostra, o insieme ad altre 50.000 persone, la musica ci muove in modi che non ci sappiamo spiegare, eppure li sentiamo, tutti. Smuove tutto quello che possediamo già sotto la pelle, ma non sappiamo dire.
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Una musica può fare
… salvarci sull’orlo del precipizio, dice Max Gazzè. Un verso che va preso alla lettera. In Musicofilia (Adelphi) Oliver Sacks - il neurologo più popolare di sempre, anzi il neurologo popolare prima che le neuroscienze diventassero popolari - ha di fatto spiegato perché le persone affette da lesioni cerebrali, epilessia, Alzheimer, Parkinson, autismo e ictus “riescono a rispondere in modo potente e specifico alla musica (e, a volte, a poco altro)”. Lui la chiama “mnemoterapia proustiana”: proprio come la madeleine per Proust, note e armonie possono infatti dare ai pazienti l’accesso a parole, ricordi e mondi altrimenti perduti. E ultimo ma non da meno, riescono a offrire un enorme conforto: quello del piacere uditivo. Grande sempre, come sai anche tu se la musica giusta ha il potere di salvarti da una giornata storta, immenso quando è uno dei pochi piaceri rimasti.
C’è un video bellissimo australiano che ti consiglio se parli inglese su quello che la musica può fare per persone affette da demenza senile: piangerai.
Ma non sono solo coloro che si trovano ad affrontare una malattia cronica a poter beneficiare della musica.
Ho sempre pensato alla mia collezione di dischi come a un armadietto delle medicine, una sorta di cassetta degli attrezzi in vista di altrettante trasformazioni. Possiamo usare la musica per introdurci al ballo, alla battaglia, allo sport, ai rituali, al sesso, alla serenità. La musica può modificare il modo in cui funzioniamo, a livello individuale e collettivo, il modo in cui lavorano il corpo e la mente, i nostri sentimenti e la nostra visione del mondo. Perfino come vediamo noi stessi. […]
Queste parole sono di Peter Gabriel, uno che ehm di musica se ne intende, nella prefazione a Reverberation di Keith Blanchard (Corbaccio), uno dei libri più belli mai letti sull’argomento. Blanchard esplora la relazione tra musica e cervello, quel motore antichissimo e sempre contemporaneo che elabora vibrazioni, suoni e armonie e li trasforma in emozioni, stimoli, azioni. Quante volte hai pianto ascoltando una musica? E quante volte hai avuto i brividi? La risposta è lì, dentro la nostra scatola cranica:
Fra tutti i sensi, l’udito sembra passare attraverso il minor numero di filtri mentali prima di manifestarsi nel corpo. Le basse frequenze possono far vibrare il nostro corpo, mentre le altre frequenze sembrano suscitare sensazioni specifiche senza troppo lavoro mentale.
E, con l’aiuto di questo libro e delle neuroscienze, oggi ti spiego perché possiamo davvero dire che Una musica può farci…
1. Rilassare (e dormire bambini di giorno):
Chiedilo a qualsiasi genitore che cerchi disperatamente di far addormentare suo figlio o sua : la musica è uno strumento incredibilmente potente per indurre il rilassamento. La scienza ha confermato ciò che mamme, nonne e zie sanno da millenni: la ninnananna induce il cervello dei bimbi a produrre onde alfa, che rallentano il battito cardiaco e la respirazione e aiutano (finalmente!) ad addormentarsi. Il meccanismo non cambia quando cresciamo: per effetto della cosiddetta sincronizzazione spontanea, il cervello tende a sincronizzarsi su un ritmo esterno e imitarlo, generando onde cerebrali della stessa frequenza.
«Quando ascolti un brano rilassante – con un tempo di 60-80 bpm (battiti per minuto), come Perfect di Ed Sheeran (63 bpm) o Hotel California degli Eagles (75 bpm), Sign of The Times di Harry Styles o Tenderly di Etta James – il pattern penetra nel cranio attraverso le orecchie e i nervi uditivi, il cervello si aggancia al ritmo e si sincronizza producendo onde alfa, che vi fanno sentire più rilassati».
E i bambini si addormentano. O quanto meno, con mio figlio, Harry Styles e Taylor Swift funzionano davvero.
Una giusta playlist insomma può influire sulle onde cerebrali e porci in uno stato di rilassamento, con conseguenze fisiche tangibili: si riducono gli ormoni dello stress, la respirazione rallenta, si generano effetti così profondi sul sistema nervoso autonomo fino a ridurre gli stati infiammatori.
BONUS TRACK: Uno studio ha stabilito che Weightless dei Marconi Union è il brano più rilassante in assoluto. Ridurrebbe l’ansia del 65%. Clicca play: e fammi sapere!
2. Concentrare:
Fin dall’antichità abbiamo utilizzato i tamburi per focalizzare il comportamento umano. «Immagina il tamburo che sincronizzava le file di rematori su una trireme dell’antica Roma, o il rullante che faceva marciare a ranghi serrati migliaia di giubbe rosse britanniche. Le neuroscienze indicano che pulsazioni ripetute e temporalmente prevedibili, come i ritmi musicali (fra 100 e 180 bpm) che portano il cervello nella gamma di frequenza delle onde beta (fra i 12 e i 35 Hz) favoriscono lo stato mentale ideale per concentrarsi». Un esempio? Beast of Burden dei Rolling Stones o Crazy in Love di Beyoncé.
BONUS TRACK: La musica in sottofondo aiuta a concentrarsi? Solo se non conosci le canzoni. L’ideale è lavorare (o studiare) in silenzio o con musica strumentale a basso volume. È probabile che se metti la tua playlist di canzoni preferite, passerai più tempo a canticchiarle che a lavorare. Secondo uno studio, l’ideale sono la musica ambient elettronica e le musiche dei videogiochi, concepite come colonna sonora della soluzione di enigmi e di altri compiti che richiedono un’elevata concentrazione.
Not my cuppa tea. Ti lascio il mio go-to quando ho bisogno di scrivere senza distrazioni e senza ansia: link qui. Dopo tutto, l’handpan è pur sempre un tamburo.
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3. Innamorare (e fare meglio l’amore)
La chimica dell’ascolto della musica e quella dell’innamoramento sono incredibilmente simili. La musica stimola il rilascio degli stessi ormoni e neurotrasmettitori (aumentano dopamina e ossitocina, le sostanze della felicità, cala la serotonina, responsabile dell’autocontrollo) e gli stessi percorsi neurali di quando ti innamori: quando dici che non riesci a toglierti qualcuno o una canzone dalla testa, beh, non stai mentendo. È anche per queste ragioni fisiologiche che:
- facciamo playlist per dichiarare il nostro amore
- le coppie hanno “la loro canzone” (e studi dimostrano che quelle di lunga data la riascoltano spesso insieme)
- vediamo “scritti su tutti i muri” anzi, in ogni testo di ogni canzoni d’amore, la persona che ci fa battere il cuore
- facciamo meglio l’amore con la musica giusta in sottofondo.
ascoltare la musica che vi piace prima del sesso è come i preliminari per il cervello. Una playlist ben fatta può potenziare la naturale ebbrezza chimica del vostro organismo, aumentando l’attività nelle “regioni cerebrali del piacere” ancor prima che le vostre calze atterrino sul pavimento.
Conclude Keith Blanchard:«Che vogliate incoraggiare una storia romantica, migliorare le vostre prestazioni sotto le lenzuola, consolidare una relazione o consolare un cuore spezzato, potete approfittare della musica per indurre nel vostro cervello (e qualche volta in quello degli altri) uno stato mentale che ottimizza le probabilità di successo.
Quando le persone ascoltano musica insieme ad alto volume i loro neuroni si attivano simultaneamente. E per ragioni che non abbiamo ancora compreso del tutto, ciò induce il rilascio di ossitocina. Nessuna sorpresa, allora, se le coppie che ascoltano musica insieme ad alto volume fanno sesso il 67% in più (come ha rilevato uno studio di Sonos su 30.000 individui) di quelle che non lo fanno».
Ascoltate musica con bpm intorno a 80 (per fare l’amore lentamente, ad esempio, I Just Want to Make Love to You di Muddy Waters) o 130 (per situazioni più focose, ad esempio, Next Lifetime di Erykah Badu) e alzate i bassi. I pezzi con melodie ripetitive e circolari sono ideali per trovare il ritmo, in tutti i sensi.
BONUS TRACK 1: Il 59% delle persone intervistate in uno studio afferma di trovare un possibile partner più attraente se si hanno in comune gli stessi gusti musicali. Occhio a quello che dici al primo appuntamento.
BONUS TRACK 2: Ma perché ogni canzone d’amore sembra parlare di me? «l’evoluzione ci ha programmati a reagire a particolari segnali nella voce umana e a percepirli come espressione di particolari emozioni. Quando quelle stesse caratteristiche sono presenti nella musica, reagiamo nello stesso modo, come se qualcuno si stesse rivolgendo a noi.»
Grazie per aver ascoltato la playlist di Terracielo anche questa settimana. A giovedì prossimo!
Un po’ di link utili:
Il libro che ci ha guidato per tutta la newsletter: Reverberation. Cervello e musica: una relazione speciale che migliora la vita di Keith Blanchard. Studio Reverberation è il primo studio al mondo su media e intrattenimento incentrato sul rapporto fra cervello e musica, cofondato da Peter Gabriel per scoprire come ognuno di noi può utilizzare attivamente il potere della musica per migliorare e rafforzare ogni aspetto della vita. Dal sesso al sonno, dalla guarigione alla creatività.
Le playlist approvate dalle neuroscienze per:
Rilassarti: Perfect di Ed Sheeran ; Hotel California degli Eagles ; Sign of The Times di Harry Styles ; Tenderly di Etta James ; Weightless dei Marconi UnionConcentrarti: Beast of Burden dei Rolling Stones ; Crazy in Love di Beyoncé.
Fare meglio l’amore: per fare l’amore lentamente, ad esempio, I Just Want to Make Love to You di Muddy Waters o per situazioni più focose, ad esempio, Next Lifetime di Erykah Badu e alzate i bassi. I pezzi con melodie ripetitive e circolari sono ideali per trovare il ritmo, in tutti i sensi.Un bellissimo video australiano su quello che la musica può fare per persone affette da demenza senile: piangerai.
C’è tantissimo lavoro dietro ogni puntata di questa newsletter: se ti va, qui puoi offrirmi un cappuccino (d’avena). O un pacchetto di caramelle all’erisimo, l’erba dei cantanti.
Questa newsletter arriva fatalmente proprio qualche giorno dopo che ho conosciuto una coppia di musicoterapeuti che lavorano con pazienti affetti da demenza senile. Guarda tu il cielo (o il Terracielo) che ti mena. 😄
Sull'intelligente ma non si applica mi ci ritrovo troppo visto che nella vita ho sempre conseguito i risultati ottimali con il minimo sforzo. E mi è sempre dispiaciuto non aver imparato uno strumento da piccolo, ma so per certo che sarei stato uno di quegli allievi indisciplinati. Lo so perché in tarda età ho realizzato finalmente il mio sogno di imparare a suonare (meglio: strimpellare) il piano e so quanto è difficile concentrarsi nella pratica. Quando ci riesci so' soddisfazioni, ma poi le mani vogliono solo suonare, e vabbè, lasciamole divertirsi. Non tutti possiamo essere Riccardo Muti e alla fine la nostra musicoterapia personale può anche essere solo il divertimento di suonare un brano fino alla fine, anche se non perfetto. Non sono mai stato un grande appassionato di musica di per sé, ma la musica ha accompagnato tante grandi svolte della mia vita, e questa recente del piano è una di quelle. La mia terapia è una bella oretta di esercizi dopo una lunga giornata stancante, e mi fa proprio bene! ❤️
Aggiungerei "RICORDARE". Ci sono brani musicali o album che mi riportano in modo vivido ad un evento o a un periodo della mia vita, bello o brutto che sia. Per esempio Erase/Rewind dei The Cardigans mi ricorda il viaggio di ritorno dopo una bellissima settimana bianca con mia sorella, ormai trent'anni fa.