#10 Non siamo multitasking, siamo multistanking
Una deva Kali contemporanea. Gli effetti dell’iperconnessione sul nostro cervello. L'attention span, il minestrone, la pavlova e un gelato al cioccolato.
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«Ma quante braccia hai?» mi ha chiesto un’amica che non vedevo da anni, mentre partecipavamo al corteo per il cessate il fuoco a Gaza. Avevo mio figlio Arturo in braccio, con una mano cercavo di ripararlo dal grande vento di scirocco che soffiava su Bari sabato pomeriggio, con l’altra cercavo un fazzoletto per il suo raffreddore. E, con non so quali altre mani, salutavo amiche, facevo foto, spingevo a tratti il passeggino. Per un attimo mi sono guardata da fuori: una deva Kali su Corso Cavour, in mezzo alle bandiere della Palestina, le luci delle camionette della polizia, la Digos in borghese.
La deva Kali è, nel pantheon induista, la signora del tempo. Forse l’hai già vista: di solito è raffigurata con quattro braccia e la lingua di fuori. “Le sue mani tengono una spada e una testa mozzata, fanno il gesto di allontanare la paura e di donare. Lei è la dea benefica del sonno, la compagna di Shiva. Nuda, vestita di spazio, la dea risplende nel suo colore nero. […] Questa è la degna forma della potenza del tempo, Kali" è scritto nel Kali Tantra.
Non ci avevo mai pensato ma lo credo bene che Kali ha la lingua di fuori. Come tutte noi “non è multitasking, è multistanking”. Questa frase mi gira come un mantra in testa da quando l’ho letta, due anni fa, in Tutta la stanchezza del mondo di Enrica Tesio. Ero appena diventata mamma, avevo dovuto riprendere a lavorare prestissimo, facevo fatica a tenere a mente le cose più semplici e sì, ero proprio, proprio multistanking. Da allora, ogni volta che mi chiedono «ma come fai a fare tutto?» io rispondo: «non lo faccio perché non ce la faccio. Più che multitasking, sono multistanking». E cito Enrica.
In questa puntata di Terracielo vedremo insieme che:
Il mito del multitasking è, appunto, solo un mito. Comodo solo per chi l’ha inventato.
Il prezzo del multitasking lo paga il nostro cervello: la fatica cognitiva
L’elefante nella stanza: come Internet e i social stanno modificando il nostro Attention Span
Cosa possiamo fare: qualche idea (non da eremiti)
1. Il multitasking non esiste
Il multitasking - ovvero: fare più cose contemporaneamente, per migliorare efficienza e produttività - non esiste: è un mito, comodo solo per chi l’ha inventato (spoiler: capitalismo e patriarcato). Neuroscienziati e neuropsicologi spiegano che fisiologicamente non è possibile: non possiamo fare due cose contemporaneamente, a meno che qualcuna di queste non sia automatica, tipo passeggiare con un’amica e chiacchierare. Ma se già aggiungiamo un gelato al nostro presunto essere dee Kali dell’amicizia multitasking, le cose cominciano a vacillare: o mangiamo o parliamo. Certo, possiamo ascoltare, ma se siamo davvero prese da quello che la nostra amica ci sta raccontando, fateci caso: avrete finito il gelato prima di accorgervi che l’avete mangiato. E senz’altro non ve lo sarete goduto. Questo non dipende da noi, ma da come è fatto il nostro cervello.
«Di solito, quando le persone pensano di essere multitasking, in realtà spostano la loro attenzione avanti e indietro tra due compiti separati» spiega Gloria Mark, psicologa e docente di Informatica all’Università della California (Irvine) in Attention Span: A Groundbreaking Way to Restore Balance, Happiness and Productivity. Più che di multitasking dovremmo infatti parlare di switch-tasking: un po’ come quando prepariamo il minestrone e affettiamo prima carote, poi zucchine, poi patate ecc. «Consideriamo cosa succede quando ti impegni in una singola attività come cucinare la cena. Dal momento in cui decidi cosa fare, diverse regioni del tuo cervello, chiamate collettivamente rete di controllo cognitivo, collaborano per realizzarla» spiega al New York Times. Questa rete comprende aree del cervello predisposte a eseguire compiti precisi (tagliare le patate) oppure pianificare (metto l’acqua sul fuoco, lavo le patate, le sbuccio, le taglio a tocchetti ecc) per ottenere un risultato (il minestrone). Se, mentre cucini, ti chiama un’amica per chiederti un consiglio su un argomento spinoso, puoi andare avanti a preparare la tua cena e prestare attenzione a quello che lei ha da dirti solo se, appunto, stai preparando un minestrone e quindi conosci a memoria la ricetta. Se, invece, ti stai cimentando in qualcosa di ben più complicato che non hai mai preparato, e hai bisogno di leggere grammature, ingredienti o passaggi, sarà impossibile fare bene le due cose contemporaneamente. Verrà fuori una ciofeca di pavlova, o avrai un’amica che ripetutamente si chiederà se la stai ascoltando.
Ma allora perché facciamo finta che non sia così? Perché abbiamo reso il multitasking la normalità, addirittura qualcosa di cui vantarci sul curriculum?
2. Il prezzo del multitasking.
Quasi tutti, ormai, lo facciamo continuamente. Abbiamo reso multitasking il tono stesso delle nostre esistenze. Entriamo in macchina e accendiamo la radio (celo), facciamo colazione ascoltando un podcast di news (sono una bimba di Morning, celo), cuciniamo ascoltando un altro podcast (sono una bimba di Indagini, celo), scrolliamo Instagram in fila alla posta o al supermercato, persino sul divano mentre guardiamo la tv (celo), saltelliamo tra un sito di news e la casella di posta (celo?) Non manca niente. Ma cosa dice di noi tutto questo? Uno, che non temiamo niente più della noia. Due, che è talmente diventato parte di noi da diventare trasparente e “naturale” (mentre invece è culturale). Tre, che non ci rendiamo conto di quanta fatica cognitiva aggiungiamo alle nostre giornate già belle faticose di per sé.
«Ogni volta che sposti la tua attenzione su un nuovo compito, il tuo cervello deve riorientarsi» continua Gloria Mark. Un po’ come quando il telefonino perde il segnale e il tuo Google Maps va in tilt per qualche istante: la rotellina comincia a girare, il cervello deve “ricalcolare il percorso” per destreggiarsi tra compiti e obiettivi diversi. Il risultato è un ulteriore dispendio energetico, altro che ottimizzazione ed efficienza: paradossalmente, anche se non ce ne accorgiamo, secondo le neuroscienze diventiamo più lente e meno accurate di quanto saremmo state se fossimo rimaste su un unico compito prima di passare al successivo.
In inglese si chiama switch-cost (il prezzo del saltellare da una cosa all’altra) e non si verifica solo nel caso in cui applichiamo il multitasking ai nostri task lavorativi. Vale, ahimè, anche quando lo facciamo per aumentare la piacevolezza del compito che svolgiamo. Fateci caso: sarà più difficile tenere a mente delle nozioni precise (dati, numeri, riferimenti esatti) se le avete ascoltate in un podcast mentre stavate cucinando qualcosa di nuovo o complesso o svolgendo qualsiasi altro compito che richiedesse attenzione e presenza.
Più sovraccarichiamo il sistema e più cerchiamo di tenere nel nostro cervello contemporaneamente, maggiore è l'affaticamento - fisico e mentale - che possiamo accusare. E’ vero: il multitasking può rendere più piacevoli alcuni compiti e persino darci l’impressione di essere più euforici e reattivi sul momento, ma a fine giornata (e sul lungo termine) gli effetti non sembrano essere positivi. Studi hanno misurato il costo del multitasking in termini di salute: lo stimolo alle ghiandole surrenali che producono il cortisolo (ormone dello stress) e l’adrenalina che si scatena, aumenta battito cardiaco, pressione sanguigna, può contribuire a scatenare disturbi dell’ansia e dell’umore, avere un impatto negativo sulla percezione della qualità del nostro tempo.
3. L’elefante nella stanza. Internet, i social, e il nostro “shrinking Attention Span”
L’elefante nella stanza qui sono le tecnologie che usiamo continuamente: Internet e soprattutto i social. Non fraintendetemi, non c’è nessun luddismo all’orizzonte. Sono sempre stata curiosa e appassionata di rete e nuove tecnologie e ho sempre abitato con gioia gli spazi social. Instagram, in particolare: l’ho aperto quando è nato, nel 2010, come ben testimoniano i 6000 post. Ricordo ancora il messaggio di Gianluca, che lavorava a San Francisco: foto e parole, questo social sembra fatto per te. Apri un account (il mio primo si chiamava @quigattacicoria ), ti piacerà più di Facebook. In questi anni è stato taccuino di viaggio, diario, strumento per le mie battaglie. Tramite questo social ho incontrato alcune tra le mie migliori amiche e persino conosciuto l’uomo che sarebbe diventato il padre di mio figlio. Ora certo le cose stanno cambiando, ma non è solo per la nausea e la saturazione descritta dai Tlon. Personalmente, mi accorgo in modo tangibile ed evidente di quale impatto abbiano sulla mia salute mentale e sulla mia capacità cognitiva. Discutere insomma degli effetti dell’iperconnessione sul nostro cervello e sulle nostre capacità di memoria e apprendimento non vuol dire disconoscere le incredibili potenzialità e i vantaggi che Internet o i social hanno comportato. Vuol dire, semplicemente, essere consapevoli del cambiamento che queste tecnologie così pervasive stanno comportando sul modo stesso in cui ci rapportiamo a noi stesse, agli altri, al mondo.
Mentre digito queste parole, sono seduta nella mia stanzetta in Puglia, su quella stessa scrivania dove ho preparato tutti gli esami universitari e letto centinaia di libri - per studio e per diletto, dal Macbeth alla grammatica latina, da Virginia Woolf ai libri di medicina cinese. Ogni volta che mi volto e guardo l’enorme libreria alle mie spalle, io mi chiedo come abbia fatto. A laurearmi, innanzitutto. Ma anche solo a leggere per così tanto tempo senza fare tutta la fatica che mi accorgo di fare adesso.
Secondo Lisa Iotti, giornalista e autrice di 8 Secondi, 8 secondi sono appunto la media della durata della nostra attenzione : un secondo in meno dell’attenzione di un pesce rosso (qui vi lascio il link al suo interessantissimo TedTalk sul brain-drain). Siamo diventati dei distratti cronici, dice Iotti. E non solo quando possiamo permettercelo. Secondo Gloria Mark e i suoi studi condotti all’Università della California (Irvine) siamo passati da una concentrazione di 2 minuti e mezzo del 2004 ai 47 secondi di oggi, secondo quello che lei chiama “Attention span shrinking” .
Questi numeri fanno paura? Forse. Io sono ancora più spaventata da un’altra cifre: «Sono necessari 25 minuti per riportare la nostra attenzione su quello che stavamo facendo prima che ci interrompessimo». Le notifiche, penserete. Un messaggio su whapp, una notifica su Facebook. Sì, ma non solo. Secondo Mark noi ormai «interrompiamo noi stessi più di quanto non siamo interrotti dagli altri», perché siamo così abituati a fare task-switching che controlliamo se ci sia arrivata una nuova notifica prima ancora che ci arrivi davvero, entriamo periodicamente nella casella di posta elettronica, o sull’home page del nostro sito preferito di news. E siamo portati a farlo persino quando il telefonino è spento.
Questo accade perché il nostro cervello ha imparato a farlo. Da vent’anni si parla ormai di neuroplasticità. Sappiamo ormai che il cervello è plastico: cambia, si trasforma continuamente, a seconda della “dieta” di azioni, abitudini, compiti che gli facciamo fare. E Internet è, a detta dei neuroscienziati, la tecnologia che più velocemente ha cambiato il modo di funzionare della mente di miliardi di persone. L’uso continuo che ne facciamo - cerchiamo informazioni, compriamo oggetti, prenotiamo esperienze, ne traiamo svago, gestiamo le reti sociali, costruiamo e nutriamo le relazioni - ha modificato neuroni e sinapsi: alcune regioni cerebrali risultano potenziate, mentre altre facoltà e attitudini (concentrazione e memoria) risultano indebolite, spiega Danilo di Diodoro sul Corriere, in un articolo del 2019. Figurati cosa scriverebbe oggi, dopo la pandemia.
4. Cosa possiamo fare: qualche idea
Lanciare i cellulari fuori dalle finestre, eliminare i social dalle nostre vite, diventare degli asceti o dei monaci amanuensi non credo sia un’opzione. Almeno non la mia. Non lo sono nemmeno i tanto osannati digital detox, palliativi temporanei abbastanza inutili, un po’ come le diete drastiche. Eliminare, per noi esseri umani, è più facile che ridurre. Ma poi non hai imparato nulla e torni alle vecchie abitudini.
Io voglio continuare ad abitare gli spazi digitali con gioia, senza che però gli spazi digitali invadano ogni secondo della mia capacità di concentrazione. Del libro di Gloria Mark ho fatto miei alcuni suggerimenti. Li sto testando da qualche mese con ottimi risultati sulla calma, sulla concentrazione e sì, perfino sulla produttività:
Le pause sono necessarie. Quando non ne fai e arrivi esausta, sarai più propensa a lasciarti distrarre da qualsiasi cosa ti sembri più piacevole del compito che stai cercando affannosamente di portare a termine. Mark li chiama Break Point e suggerisce di fare un break nel momento in cui hai finito almeno uno dei compiti o un pezzetto di compito che ti sei prefissa (non nel bel mezzo del tuo flow, insomma). Se lavori da casa, fare una lavatrice, chiamare un’amica o fare una passeggiata sono pause. No, lo scrolling su Instagram o fare un acquisto online non lo è.
Diventa intenzionale: ogni volta che, mentre stai facendo qualcosa, senti l’urgenza di farne un’altra contemporaneamente, chiediti perché. Ti senti annoiata? Ti senti sola? Sei stanca? E’ solo diventata un’abitudine? Prova a rispondere a quel bisogno di conseguenza, senza cercare di tamponare il sintomo (lasciando intatta la causa) con un altro video su youtube.
Prova, ogni tanto, a praticare il monotasking: mentre lavori togli le notifiche, metti il cellulare in modalità aereo, anche solo per 5 o 10 minuti. Ascolta quel podcast stesa sul divano senza fare altro che quello. Cucina senza tv accesa. Mangia un gelato al cioccolato assaporandolo, senza chiacchierare con nessuno. Se al tuo cervello questa “dieta” piacerà, sarà più facile offrirgliene ancora.
Vado a preparare la cena. Vediamo se riesco a farlo senza un podcast in sottofondo. Non garantisco. Buona settimana, ci vediamo giovedì prossimo qui su TERRACIELO.
Libri:
Il romanzo-saggio di Enrica Tesio, Tutta la stanchezza del mondo, Bompiani (2022)
Il libro di Gloria Mark, Attention Span.A Groundbreaking Way to Restore Balance, Happiness and Productivity (2023)
Il libro di Lisa Iotti, 8 secondi. Viaggio nell’era della distrazione, il Saggiatore (2020)
Link:
Il TEDx di Lisa Iotti: 8 secondi
Grazie mille!
Una di quelle cose che sai, ma che quando le vedi scritte e le guardi dall’esterno ti fanno venire i brividi. Per troppo tempo ci hanno inculcato il “valore” dell’essere multitasking e oggi rabbrividisco di fronte a notizie del tipo “si laurea mentre partorisce”. Forse fino ai 30 anni ci puoi pure credere, ma poi, man mano che vai avanti, il valore del tempo lo misuri con le cose che riesci a goderti pienamente per il solo gusto di farlo e non perché fa parte di una corsa ad ostacoli che inevitabilmente ti sfinisce.
Grazie per questa bella dissertazione.