#19 Quello che cucini sta cucinando il pianeta
Raddoppiare i consumi di frutta e verdura e ridurre della metà zuccheri e carne fa bene alla salute. Nostra e del pianeta. In questa puntata di Terracielo "diamo i numeri". E pure una soluzione.
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amare, adorare, amare potentemente il mondo, questo bisogna ora.
Mariangela Gualtieri
Ho ripensato a un vecchio pezzo dell’Atlantic - Your Diet Is Cooking the Planet: lo trovi qui - mentre, per l’ennesima volta, stamattina, guardavo cadere scrosci di pioggia monsonica fuori dai vetri della mia cucina. Con i piedi nudi, il caffè in mano, aspettando che cappuccinatore e tostapane facessero il loro mestiere, guardavo il cielo nero e l’acqua spinta dal vento inghiottire ogni cosa incontrasse: le chiome degli alberi, le luci delle strade, le montagne che circondano Foligno e che disegnano lo skyline a cui do il buongiorno ogni mattina, Trevi sullo sfondo. È giugno, pensavo, tra poco ci lamenteremo del caldo, ma hey, oggi lasciami lamentare di questa pioggia: non ne posso più. Almeno non ci lamenteremo della siccità in estate, dirai tu. Eh no, ti risponderò, le cose purtroppo non stanno così (e questo video lo spiega bene). Quella che ci aspetta sembra, a detta dei metereologi, la stagione di fuoco più calda e afosa di sempre. E, dalle piogge monsoniche al caldo estremo, ormai l’abbiamo capito: la causa è sempre la stessa, sempre lui, il cambiamento climatico. Ovvero, la causa siamo noi.
E, oltre a non volere primavere che sembrano autunni ed estati che sembrano inferni, abbiamo capito anche un’altra cosa: se vogliamo dare un po’ di sollievo a questo nostro pianeta in ebollizione, non basta andare in giro a piedi, ricordarsi di spegnere le luci, chiudere l’acqua mentre ti lavi i denti e differenziare i tappi di plastica dal cartone del latte d’avena.
La rivoluzione, come diceva qualcuno, non si fa più con lo scontro ma con lo scontrino: in questo caso, quello del supermercato. Perché la rivoluzione ecologica e sostenibile dipende, soprattutto, da quello che ogni giorno porti in tavola.
Pensate che io stia esagerando? Vi cito solo due dati e scegliete voi quali conclusioni trarre. Il sistema alimentare - allevamento, agricoltura, ma anche lavorazione, imballaggi, spedizione degli alimenti da una parte all’altra del mondo - è responsabile per un quarto dei gas serra che stanno surriscaldando il pianeta fino a farlo sobbollire. Allo stesso modo, quello che mangiamo è responsabile delle malattie che sviluppiamo: l'American Institute for Cancer Research ha calcolato che le cattive abitudini alimentari sono responsabili di circa tre tumori su dieci (il 35%: lo riporta anche l’AIRC e fonti governative italiane). Salute del pianeta e salute degli esseri umani sono infatti meno distinte e distanti di come possa apparire: come le mie care Medicine Orientali sostengono da sempre, noi non siamo che un microcosmo nel macrocosmo. E quella natura che ci sembra sempre di vedere fuori di noi, altro non è che la stessa materia che compone ogni singola cellula del nostro corpo. Se si ammala lei, ci ammaliamo noi.
In questa puntata uggiosa di Terracielo vedremo insieme un’alternativa sostenibile ai modelli alimentari imperanti: una “dieta” che per una volta non ha come obiettivo un paio di jeans in cui rientrare, quel benedetto “bikini body” della prova costume o qualche chilo in meno sulla bilancia, ma una sfida molto più importante. Preservare la salute di milioni di persone e quella del pianeta entro il 2050, anno in cui la terra sfiorerà i 10 miliardi di abitanti. Cominciamo.
L’elefante nella stanza
Qualcuna storcerà il naso, ma affrontiamo subito l’elefante nella stanza: i cibi animali sono incontrovertibilmente i più impattanti sull’ambiente. Anche qui, io “do i numeri”, voi decidete quali conclusioni trarre.
La quantità di gas serra emessa dalle “pance” di tutte le mucche del mondo è superiore alle emissioni di tutti i camion, auto, aerei e navi del mondo (Fonte Fao), a cui vanno aggiunti deforestazione, spreco di risorse idriche e alimentari per produrre il mangime e sfamare gli allevamenti intensivi, oltre perdita della biodiversità per produrre i suddetti mangimi. È stato inoltre calcolato che gli allevamenti intensivi producono il 57% delle emissioni totali associate alla produzione alimentare.
Per produrre un chilo di hamburger servono 2400 litri d’acqua, 214 per un chilo di pomodori. Per ottenere 50 grammi di manzo si immettono nell’ambiente 17.7 kg di CO2, per 50 grammi legumi solo 400 g di CO2.
In Italia consumiamo in media 80 kg di carne a testa l’anno: non male per il Paese che si crede “patria della dieta mediterranea” (che di carne, in realtà, ne prevede pochissima).
Prima di andare avanti, apro una piccola parentesi di fatti miei, poi capirai perché. Io ho smesso di mangiare carne al penultimo anno di liceo, quindi ormai 25 anni fa (ho fatto la mia ultima versione di greco nel 2000!), dopo esserci introdotte di notte, in un modo un po’ naif con altre matte del collettivo studentesco, in un allevamento intensivo di polli e aver visto quale fine, cruenta e assurda, facciano i pulcini maschi. Una scena dell’orrore che vi risparmio (se volete farvi un’idea, vi consiglio la visione di questo film), perché non è questo il punto e soprattutto perché questo discorso si muove facilmente su un piano inclinato scivolosissimo, che rischia di portarci fuori strada in questo momento. Spesso, infatti, queste premesse (e in 25 anni da non meat-eater non sapete quante volte mi sono trovata, mio malgrado, a fare questi discorsi a cena, solo dopo aver pronunciato le parole: “no, grazie, non mangio carne”) si incagliano dentro tifoserie da stadio, persone che mangiano la carne contro persone che non mangiano la carne, ognuno legittimamente nel giusto e ognuno convinto di dover convincere l’altro che la propria scelta sia la più giusta possibile.
Io non mangio carne da 25 anni, ma, ripeto, il punto non è cosa faccio io o cosa sarebbe più giusto fare secondo me. Perché il modo cui ci nutriamo è, per sua natura, ribelle: non funziona per imposizioni e soprattutto riguarda aspetti molto più ampi che una mera decisione razionale (lo abbiamo già visto qui) che tenga conto solo di cosa è giusto o sbagliato fare. In altre parole: non c’è nessun obbligo, imposizione o giudizio nelle mie parole, non si tratta di dover diventare tutti vegani domani mattina, ma di imparare a capire - tutti sì, e tutti insieme: vegani, vegetariani, onnivori, flexitariani - che il modo in cui ci alimentiamo ha sempre delle conseguenze, come ce l’avrebbe qualsiasi altra scelta fatta almeno tre volte al giorno (colazione pranzo e cena), per tutta la vita, ogni giorno della nostra vita.
Ciascuno di noi ha il diritto di scegliere cosa mangiare, ma anche il dovere di essere consapevoli dell’impatto che queste scelte hanno sulla salute e del pianeta che ci ospita.
Una dieta per il pianeta (fa anche rima)
Poco prima della pandemia, mentre Greta Thunberg e i militanti dei Fridays for Future scendevano in piazza, i maggiori studiosi di Harvard, Fao, Oms si riunivano per mettere a punto i criteri scientifici per rendere l'alimentazione umana sostenibile e al contempo salutare. Così, dopo vegan, vegetarians e flexitarians, nel 2019 erano nati i Planetarians. La Planetary Health Diet o Planetarian diet nasceva con un obiettivo bellissimo e ambizioso: ridurre lo stillicidio di risorse del pianeta e prevenire al contempo gli 11 milioni di morti causati ogni anno da malnutrizione e malattie legate al sovrappeso.
Per Donna Moderna, proprio mentre veniva fuori questo studio mastodontico di cui si parlò moltissimo nella comunità scientifica prima di essere spazzato via dalle notizie sul Covid (senz’altro l’OMS aveva poi altro a cui pensare!), avevo partecipato a NutriMi 2019, il Forum di nutrizione di Milano - dove Walter Willett, professore di Medicina alla Harvard Medical School, tra i firmatari dello studio, mi aveva ribadito come nutrirci con una dieta che salvi noi stessi e il pianeta fosse molto più semplice di quello che pensiamo. Soprattutto per noi Italiani. Mi aveva infatti raccontato che incrociando studi su studi e dati e dati su dati avevano scoperto che la Planetary Health Diet non era molto diversa dalla vera dieta mediterranea, quella delle origini.
Se vuoi provarci, ecco lo schema. Ogni giorno, ciò che mangiamo deve provenire:
- 50% da frutta e verdura (500 g),
- il 30% da cereali integrali (a ogni pasto),
- il restante 20% diviso tra olio extravergine di oliva, semi e noci (che ci difendono da infiammazioni e tumori),
a questo vanno aggiunti:
- yogurt e latticini (fino a 250 g al giorno),
- legumi (75 g al giorno)
- poche proteine animali, quattro volte a settimana.
«Non diciamo di eliminarle - mi aveva spiegato Willett - ma almeno di ridurle a 100 g di carne rossa, 200 di pollame, 200 di pesce alla settimana. Gli allevamenti intensivi sono infatti tra i maggiori responsabili di spreco di risorse (acqua e suolo) e inquinamento ed è ormai scientificamente certo che l’eccesso nel consumo sia dannoso per la salute». Non c’è uno studio che non concordi su questo: un elevato consumo di carni rosse e lavorate è associato ad un aumento del rischio di sviluppare varie malattie croniche, tra cui malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni tipi di cancro (come il cancro del colon-retto), obesità.
L’eccesso di proteine animali ovviamente non è l’unica cosa a cui badare in ottica di salute e prevenzione. Proprio ieri sono stati diffusi dalla Società Italiana di Nutrizione Umana i nuovi criteri per un’alimentazione sana (i cosiddetti LARN, Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) rivisti dopo 15 anni e … indovina? La principale revisione prevede un orientamento sempre maggiore verso un’alimentazione plant-based (è stata sottolineata l’importanza di “un’inclusione più generosa” di fonti proteiche vegetali) e obiettivi di prevenzione per zuccheri (non devono superare il 15% dell’introito energetico totale) e di grassi saturi (meno del 10%).
In altre parole: se vuoi stare in salute, raddoppia i vegetali e dimezza carne, zuccheri, grassi saturi. Proprio come sostiene la dieta Planetaria.
Con la dieta planetaria, secondo gli scienziati, sarebbe possibile garantire cibo sostenibile per 10 miliardi di persone e migliorare al contempo la salute degli esseri umani e della Terra agendo su tre fattori:
1. Minimizzare il consumo di proteine animali, rendendo vegetali due pasti su tre nella tua alimentazione quotidiana
2. Ridurre lo spreco alimentare: quasi un terzo di tutto il cibo che produciamo finisce nella spazzatura
3. Scegliere più possibile alimenti locali e stagionali, per valorizzare la biodiversità del territorio in cui abiti, ridurre l’energia utilizzata nel trasporto degli alimenti, spesso su grandi distanze.
Eat the rainbow
Mi permetto di aggiungere un quarto punto, meno scientifico e più spirituale, se volete. Una dieta planetaria promuove una connessione più profonda con i cicli naturali. Quando ti siedi davanti al cibo bello e colorato che la natura ha creato, nella stagione per cui è stato creato, porti dentro di te tutti i colori del mondo che lo ha creato. Negli Stati Uniti, per spingere la popolazione a consumare una maggiore varietà di frutta e verdura si dice “Eat the rainbow”, mangia l’arcobaleno. Quell’arcobaleno trasforma i nostri corpi e illumina il legame con le persone che hanno coltivato quei vegetali, con la terra, con l’acqua, con il sole. Mangiare così diventa molto più che mangiare e basta. Torna a essere un'esperienza spirituale gentile e profonda: di nutrimento, non di sfruttamento.
Abbracciare la Dieta Planetaria vuol dire essere consapevoli che ogni boccone conta. Per la tua salute, per quella delle donne e degli uomini che abitano dall’altra parte del mondo e per quella della Terra. Tutte, più vicine di quello che immagini.
Grazie per essere stata con Terracielo anche questa settimana, speriamo finisca la pioggia e spunti l’arcobaleno. Nel cielo, dentro i tuoi piatti, in ogni cellula del tuo corpo.
Link utili:
Your diet is cooking the planet, The Atlantic 2021
Le nuove linee guida (LARN) della SINU : più vegetali che mai
“Decidere che cosa mangiare (e che cosa rifiutare) è l’atto fondante della produzione e del consumo che determina tutti gli altri. Scegliere vegetale o animale, agroindustria o fattoria a gestione familiare, non cambia il mondo di per sé, ma insegnare a noi stessi, ai nostri figli, alla comunità in cui viviamo e alla nostra nazione a optare per la coscienza invece che per la comodità può farlo. Una delle maggiori opportunità di vivere i nostri valori - o di tradirli - sta nel cibo che mettiamo nei nostri piatti”: Una citazione dal mio libro preferito sull’argomento (quanto ho pianto leggendolo): Se niente importa di Jonathan Safran Foer
L’unico libro di Willett tradotto in Italia, che consiglio a chiunque voglia capirci qualcosa in più su cosa sia un’alimentazione sana per sé e per il pianeta (è precedente alla Planetarian Diet, ma è fatto molto bene)
Esistono diversi “planetarian cookbook” (tutti in inglese), ma non mi piace nessuno. Inoltre, non credo che per provare a cambiare la nostra alimentazione abbiamo bisogno di nuove ricette, quanto di nuove abitudini. E, per non essere intimorite dal cambiamento, serve che queste siano il più possibile facili, veloci e fattibili. Per questo, se ti spaventa l’idea di raddoppiare la quota di verdure, legumi e cereali nella tua alimentazione come la PlanetaryDiet suggerisce, ti consiglio il videocorso ESTATE di Francesca Giovannini: l’ho acquistato e, alla prima puntata, ero già innamorata del suo “tofu di lenticchie”. Stasera a cena preparo quello ancora più facile di ceci: giovedì prossimo ti racconto.
Solo applausi. Da un vegetariano fallito, ma non per questo inconsapevole. Mi piace definirmi riduzionista, ma la realtà è che non sono stato in grado di eliminare la carne dalla mia dieta. E per quanto non ne mangi in quantità eccessive, questi dati ti aiutano sempre a rimettere tutto in prospettiva. E magari a tentare di ricalibrarti ulteriormente.
Puntata bomba 💣💣💣💥🌈🪴💜