#7 To care, to cure. Siamo terre, non mappe
Perché, per stare bene, mangiare "bene" non basta. Che cos'è l'approccio olistico al benessere e perché, secondo me, la cura olistica non Cura. Ma si prende cura. Appunti per un Manifesto della Cura
Puoi ascoltarla cliccando qui:
"La mappa non è il territorio." Alfred Korzybski, 1931
«Non comprare questo libro!»: credo sia stata questa la frase che ho pronunciato più spesso nell’ultimo mese. Insieme a «Grazie di cuore» (perché non sapete che carezza sia per me ogni messaggio, condivisione e cuoricino che decidete di dedicare a Terracielo, una nl nata in uno dei miei periodi più cupi) e «mi viene da piangere, non faccio che pensare a Gaza, cessate questo ca**o di fuoco».
Immagino non vi aspettaste che vi sconsigliassi di comprare il libro in risposta al vostro «bello leggerti! ho comprato Il medico di se stesso, grazie del consiglio». E allora chiariamolo subito anche qui: non era un consiglio, era la mia storia.
Il medico di se stesso, secondo me, non è il miglior libro sulle medicine orientali e di certo non è quello che consiglierei a chiunque, a digiuno di approccio olistico alla cura di sé, voglia capirci qualcosa in più a riguardo. Perché? Perché è molto tecnico e, a mio avviso, anche molto parziale. Come recita il sottotitolo, infatti, è un «manuale pratico di medicina orientale» - al singolare, dettaglio non secondario, ma ci torniamo tra poco - che fornisce gli spunti pratici per capire il funzionamento energetico del corpo secondo la macrobiotica (eccola qui, la medicina al singolare).
La macrobiotica è la "medicina di lunga vita" ideata, nel dopoguerra, dal giapponese Georges Ohsawa ispirandosi all'antica medicina orientale di derivazione taoista. Una volta capito il funzionamento del corpo, il manuale passa poi all’autodiagnosi e all'autotrattamento, essenzialmente attraverso il cibo (dieta, bevande, impiastri, rimedi, tisane e tè), inteso come pilastro portante della salute.
«Fa’ che il cibo sia la tua medicina»: lo diceva già Ippocrate, padre della medicina occidentale, in una delle citazioni più abusate di sempre e, di certo, lo condividerebbe Muramoto, autore del libro in questione. Ma, come ho capito in tanti anni di studi, il cibo non può essere l’unica medicina. E qui risiede uno dei limiti maggiori di quel libro e di qualsiasi approccio - occidentale e orientale - che prometta che, puff, modificando solo la tua alimentazione in questo, questo, o quest’altro modo, starai miracolosamente meglio.
L’idea, cioè, che mangiando “bene” si stia automaticamente “bene” è falsa e anche un po’ pericolosa. Quando la mia tiroide ha smesso di funzionare, io vivevo in Inghilterra. E mangiavo già “benissimo”. Avevo fatto corsi di “cucina che cura” in Italia, studiavo medicine orientali da qualche anno, per pagarmi gli studi lavoravo come chef di cucina naturale in uno dei più famosi cafè plant-based di Londra, praticavo yoga da più di dieci anni, prendevo un sacco di integratori, camminavo tanto, bevevo pochissimo caffè. Eppure. Una bella tiroidite di Hashimoto è arrivata a dirmi che, nonostante la mia alimentazione fosse “perfetta” e avessi più zuppa di miso e riso integrale che sangue nel corpo, qualcosa non stava funzionando. Così, con la diagnosi di un endocrinologo tra le mani e prendendo le medicine che mi aveva prescritto (lo sottolineo, a scanso di equivoci) ho cominciato a chiedermi cosa fosse questo qualcosa. Perché capitava una malattia autoimmune - ovvero, l’organismo che attacca se stesso - proprio adesso e proprio a me? Stavo forse respirando l’aria inquinata di una delle città più inquinate al mondo? Lavorando di giorno e studiando di notte e in ogni minuto libero, senza tregua, con poco riposo e zero tempo per il sano cazzeggio, stavo forse chiedendo troppo a me stessa e al mio sistema nervoso? Stavo forse vivendo in un posto in cui, soprattutto linguisticamente, non mi sentivo ancora a casa? Proprio io, che avevo sempre trovato casa e rifugio nelle parole? Proprio io, per cui le parole erano sempre state il modo di abitare il mondo?
Le risposte a queste domande hanno generato nuovamente grandi scossoni nella mia vita. Mi ero appena diplomata come Holistic Nutritionist for Body and Soul® per capire che il cibo non era sufficiente a star bene. E che avevo bisogno di rifare le valigie, vivere la vita a un altro ritmo, affrontare un nuovo trasloco internazionale e continuare a studiare se davvero volevo davvero imparare ad aiutare gli altri e me stessa. È così che mi sono rimessa sui libri ho incontrato la Mindfulness prima, mi sono diplomata come Holistic Health and Wellness Coach poi (tutte professioni che in Italia non esistono, ma questa è un’altra storia..) e mi sono trasferita in Spagna, a Barcellona (e anche questa è un’altra storia…)
E quindi io mangiavo “bene” eppure non stavo bene. E allora cos’è la salute,il benessere come si costruisce?
Immaginate la salute come un palazzo. Le fondamenta sono costruite da quello che mangiamo quotidianamente [ormai si sa, per esempio, che 2/3 delle malattie cardiache (6 milioni di morti l’anno) sono causate dalla dieta quotidiana. In altre parole, che sono evitabili]. Ma hai mai visto un palazzo in costruzione? Senza fondamenta, è vero, non si tira su il resto. Ma senza il resto quel palazzo non è abitabile. L’approccio olistico vuole le fondamenta, ma anche il resto. Vuole il pane, ma anche le rose, o meglio: i balconi fioriti su quel palazzo.
E allora, domandona che mi avete fatto moltissimo in questo mese: che cos’è tutto questo resto? In cosa consiste l’approccio olistico alla Cura?
Proviamo a mettere ordine in un po’ di pensieri sparsi. L’
Consiste nell’usare il cibo come nutrimento, anche energetico. Perché ogni volta che mettiamo in bocca qualcosa, noi diventiamo - letteralmente - quello che mangiamo. E basta chiederti “chi sono io?” per risponderti che sei più della somma delle calorie (che non esistono, ma ne parliamo un’altra volta), dei grassi, delle proteine, dei carboidrati che hai ingurgitato durante tutta la tua vita.
Non consiste nel sostituirsi a un professionista della salute ( un nutrizionista, un dietologo, uno psicologo) ma, al contrario, nel collaborare con lui per andare alla radice (root cause, si dice in inglese) di ciò che non funziona, integrando quell’attenzione alla totalità dell'individuo, inteso come unione energetica di corpo e psiche, che spesso si è perso nell'approccio tradizionale occidentale. Vengono per questo utilizzate tecniche varie, che vanno dall’analisi energetica dell’individuo secondo la tecnica diagnostica della medicina cinese agli oli essenziali, dai rimedi fitoterapici a base di erbe, tisane, integratori a tecniche di respirazione, automassaggio, frizioni sulla pelle (dry-brushing) volte a smuovere l’energia stagnante che, se ignorata, genera blocchi e malesseri. Sono tutte tecniche di ascolto del corpo e della mente: perché l’approccio olistico al benessere è incarnato, pratico, non teorico. Hai presente quando canti a squarciagola a un concerto e poi torni a casa con il cuore contento, più piena, più leggera? Ecco, l’approccio olistico alla cura non è pensare come fare ad arrivare al concerto mentre stai sul divano, è andare al concerto. È 1% teoria, 99% pratica.
Consiste nel farsi domande, un sacco di domande, a volte molto scomode, per ricalcolare se necessario il percorso. Perché non tutto ciò di cui diventiamo consapevoli può essere cambiato, ma niente può essere cambiato finche non ne diventiamo consapevoli.
Consiste nel non guardare solo il pezzetto di noi che ha “smesso di funzionare”, ma tutto il corpo, come dicevamo nella prima puntata di Terracielo. A cui stavolta aggiungiamo un altro pezzetto: non guardare solo il nostro corpo, ma anche la relazione che abbiamo con il mondo e con l’ambiente - naturale, antropizzato e sociale - che ci circonda. Le medicine orientali e l’approccio olistico leggono l’individuo come un microcosmo che riflette il macrocosmo. Un macrocosmo che è, ricordiamolo sempre, ancora, e per la maggior parte, fatto di mistero. Proprio come lo siamo noi.
Perché è vero: abbiamo finalmente strumenti ipertecnologici per indagare il nostro sangue, i nostri neuroni, il nostro codice genetico. Grazie alla nutraceutica sappiamo per esempio quali micronutrienti usare per prendere di mira alcuni deficit e nutrire le nostre cellule. Grazie all’epigenetica, il più promettente tra i nuovi ambiti di ricerca, stiamo cominciando a capire come “accendere” o “spegnere” i nostri geni attraverso cibo e fattori ambientali, per invertire malattie ereditarie, predisposizioni e fattori di rischio. Wow ed evviva la scienza. Ma se anche io adesso potessi offrirvi una mappa precisa e dettagliatissima di ognuna di voi, questa mappa - fatta di dati e valori e numeri, pensate per esempio a quando ritirate le analisi! - non descriverebbe davvero né chi siete voi né come state voi. Forse, descriverebbe quale malattia avete o quale potreste sviluppare. Ma noi siamo più delle nostre malattie. Siamo una terra, non siamo una mappa. E la salute, lo dice perfino l’OMS, non l’ultimo dei santoni new age, non è “assenza di malattie o infermità” ma “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale”
L’approccio olistico alla cura e al benessere punta qui: sa che ognuno e ognuna di noi è una terra, non solo la mappa. E, per questo, il percorso di cura e guarigione non è lineare come può essere una cartina di viaggio, ma appunto un percorso imprevedibile come può essere il viaggio stesso: con soste, asperità, grandi balzi in avanti, grandi passi indietro. Sa che la cura è il viaggio, non la meta. Perché la meta siamo noi. Di nuovo intere.
L’approccio olistico tiene conto degli aspetti fisici, ma anche storici, psicologici, sociali, lavorativi e spirituali di ciascuno. È un approccio individuale, sartoriale: tagliato come un abito su misura sulla persona che ha davanti. E in cui non vede un paziente ma un alleato: un medico di se stesso, appunto, un partecipante attivo del proprio benessere mentale, fisico e spirituale. Qualcuno che, come si dice in inglese, “does the work”, “faccia il lavoro su se stesso”.
Per capire cosa sia davvero la cura olistica dobbiamo ancora una volta tornare alle mie amate parole. In Italiano purtroppo il verbo “curare” è polisemico, mentre in inglese esistono due parole diverse a indicare concetti molto diversi: "to cure", curare e “to care”, prendersi cura. La cura olistica, per me, ha a che fare con il secondo: non cura, ma “si prende cura”. Non può curare ma sa prendersi cura. Non guarisce, ma si prende cura, insieme a lui o lei, della persona che ha davanti. Perché, come dico sempre, non cresce ciò che semini, cresce ciò che curi. Vale per ogni relazione, anche e soprattutto quella con noi noi stesse e con il benessere a cui ha diritto ciascuna e ciascuno di noi.
Grazie per essere stata tra le parole di Terracielo anche questa settimana. Scrivo troppo, lo so. Buona cura di te. E a giovedì prossimo.
Grazie Nina di questo “flusso di parole ordinate” che educa, ispira e “si prende cura” ... cura soprattutto del caos delle tante informazioni e delle miriadi di tecniche, pratiche, approcci che anziché guidarci diventano fonte di confusione e illusione. E che tu hai contestualizzato, collegato e illuminato con questa bellissima visione del TO CARE.
Portando Armonia e un bellissimo senso di Energia e Amore. ✨🤍
Leggerti apre sempre prospettive e spinge a farsi domande. A volte ciò fa soffrire, ma fa anche molto bene. Grazie