#9 Smetti di contarle visto che non contano più niente
Le calorie non esistono. Se hanno smesso di contare per la scienza, è ora che smetta di contarle anche tu.
Ciao sono Nina Gigante, una giornalista, Holistic Nutritionist for body and soul® e Integrative Health and Wellness Coach (UK, USA). Ogni giovedì qui troverai spunti di benessere integrato che spaziano tra Oriente e Occidente e, saltellando tra pratiche millenarie e le più recenti scoperte scientifiche, ti aiutano a tornare a casa da te stessa. Non per diventare la "versione migliore di sé”, ma, al contrario, per stare meglio con ciò che si è: anche questa è Medicina.
Terracielo usa, fin dalla prima puntata, il femminile sovraesteso.
Puoi ascoltare questa puntata cliccando qui:
Pasqua: come gustare i piatti senza esagerare con le calorie. La Repubblica
Uovo di Pasqua, meglio fondente, ma attenzione alle calorie. Humanitas
Pasqua in linea: attenti alle calorie in più. Tgcom24
Pasqua e dieta: come godersi le feste senza ingrassare. Amica
Oggi voglio farvi un regalo. Prima che scartiate uova e colombe e affondiate la faccia in casatielli e pastiere, attanagliate subito dopo dai sensi di colpa indotti dalla cultura grassofobica in cui siamo immerse fino al collo (questi sopra sono i primi quattro articoli giornalistici che mi sono venuti fuori, per caso, digitando pasqua e cibo). Voglio spiegarvi una volta per tutte perché, oltre a essere pericoloso, pensare al cibo che mangiamo in termini di numeri è profondamente patriarcale. E pure molto stupido.
Riavvolgiamo il nastro e scopriamo insieme che cosa sono le calorie, se esistono davvero per il nostro corpo, chi le ha inventate e per quale motivo. E soprattutto perché, se hanno smesso di contare per la scienza, è ora che smettiamo anche noi.
Qualche anno fa, il prestigioso magazine quadrimestrale dell’Economist usciva in edicola con una copertina categorica e uno splendido long form : Death of the Calorie. La caloria è morta, le calorie non funzionano più.
Dandone notizia su Donna moderna, avevo scritto:
«per oltre un secolo ci siamo affidati al loro conteggio per capire quello che ci avrebbe fatto ingrassare o dimagrire, ma ormai sappiamo che questo meccanismo di pura matematica (devi consumare più di quello che introduci) non è poi così infallibile. E forse te ne sei accorta anche tu se - nonostante la marmellata senza zucchero al mattino, il dolcificante nel caffè, la mela al posto dei biscotti al pomeriggio e il tuo contapassi in giubilo per le calorie bruciate in palestra - dopo qualche settimana di equilibrismi ipocalorici sei scesa dalla bilancia frustrata: non hai perso peso o ne hai perso pochissimo. Cosa hai sbagliato? Forse niente. Tutti i nuovi studi sono concordi: “restringere le calorie” può non bastare o essere addirittura controproducente se non teniamo conto di altri fattori, come ormoni e metabolismo». Ma perché?
Perché nonostante ce le ritroviamo ovunque - dai pacchi dei biscotti sul tavolo della colazione al mattino alla pasta, dai contapassi da polso ai telefonini, che ormai ti avvisano di quanto hai dormito e quante ne hai bruciate respirando - le calorie non esistono. O meglio, nel corpo umano non esistono. Esistono certo come unità di misura dell’energia per la termodinamica, ma hanno ben poco a che vedere con il nostro organismo e il suo funzionamento.
La caloria – parola che deriva da calor, “calore” in latino – veniva originariamente utilizzata per misurare l’efficienza dei motori a vapore. Spiegone alla Piero Angela, ma sarò brevissima: è la quantità di calore necessaria a innalzare di un grado la temperatura di un grammo di acqua. In ambito nutrizionale si parla di calorie intendendo le kilocalorie (1 kcal = 1.000 calorie).
Ma come si è finiti a parlare di biscotti e yogurt partendo dai treni a vapore?
«Solo nel 1860 gli scienziati iniziarono ad usarla per calcolare l’energia contenuta negli alimenti. Fu un chimico agricolo americano, Atwater, a rendere popolare l’idea che potesse essere usata per misurare sia l’energia contenuta nel cibo sia l’energia spesa dal corpo per far fronte a funzioni vitali e “lavori speciali, come riparare i tessuti o potenziare i muscoli. Nel 1887, dopo un viaggio in Germania, A scrisse una serie di articoli molto popolari su una rivista americana, suggerendo che “il cibo è per il corpo ciò che la benzina è per il fuoco”.
Oggi molti di noi ricorrono al computo calorico per perdere peso o per non ingrassare ma Atwater era motivato dalla preoccupazione opposta: in un'epoca in cui la malnutrizione era diffusa, cercava di aiutare i poveri a trovare i sistemi più convenienti per saziarsi».
Convinto che “una caloria è una caloria”, suggeriva di mangiare poche verdure a foglia verde (!) e di abbondare invece in biscotti alla melassa, farina d’orzo e ventrigli di pollo (!!!): ma come aveva scoperto che mangiarli ci avrebbe regalato calorie diverse? Facendo questo esperimento: Atwater aveva bruciato una “standard american diet” in un calorimetro (una sorta di fornetto in cui si inserisce un alimento, lo si sottopone a combustione e si rileva il calore liberato: ecco le calorie prodotte dall’alimento) e, parallelamente, aveva fatto allenare in atmosfera controllata un gruppo di studenti maschi di un’Università del Connecticut a cui aveva somministrato gli stessi cibi. Aveva poi confrontato la quantità di energia sprigionata dal calorimetro con quella sprigionata durante l’allenamento (più quella sprigionata bruciando le feci, ovvero, quello che era rimasto nel corpo degli studenti del cibo somministrato) e tadaaaa, era riuscito a calcolare le calorie dei diversi macronutrienti (carboidrati, grassi, proteine).
Proprio grazie ad Atwater, calorie e macronutrienti entreranno nel linguaggio e nel senso comune (e in quello di colpa!) di centinaia di milioni di persone.
Con questi esperimenti, Atwater calcolò che un grammo di carboidrati o proteine rendeva al corpo circa 4 calorie di energia disponibile, un grammo di grasso offriva una media di 8,9 calorie, una cifra poi arrotondata per comodità a 9.
Un esperimento pioneristico per quei tempi ma ai limiti del ridicolo se pensiamo che ancora oggi il conteggio delle calorie è rimasto invariato. Che cioè lo standard per calcolare le calorie - e l’ossessione che ci abbiamo costruito sopra - è ancora quello ottenuto bruciando la cacca degli universitari americani di fine Ottocento.
Oggi, a un secolo e mezzo di distanza, sappiamo infatti tantissime cose in più sul funzionamento del nostro corpo. Sappiamo per esempio che:
Le calorie non sono tutte uguali: Il mantra di Atwater “una caloria è una caloria” è una sciocchezza, perché cambia (eccome se cambia!) se le calorie con cui ti nutri provengono da una merendina industriale o da un piatto di spinaci: per l’organismo sono i nutrienti a fare la differenza. Un piatto di spaghetti con tonno e pomodoro e due birre bruciano allo stesso modo dentro un calorimetro, ma non dentro il nostro corpo! Perché le nostre cellule non rispondono alle calorie (che, appunto, non esistono) ma alle molecole di nutrienti
Il nostro corpo è più complesso di una stufa: Abbiamo visto che il conteggio delle calorie si basa sulla quantità di calore che un alimento emette quando brucia. Ma il corpo umano è molto più complesso di un fornetto. Lo spiega bene l’Economist: «Una caloria di carboidrati e una caloria di proteine hanno entrambe la stessa quantità di energia immagazzinata, quindi funzionano in modo identico in un forno. Ma metti quelle calorie nei corpi reali e loro si comportano in modo molto diverso [...] Quando il cibo viene bruciato in laboratorio, cede le sue calorie in pochi secondi. Al contrario, il viaggio nella vita reale dal piatto della cena al gabinetto dura in media circa un giorno, ma può variare da 8 a 80 ore a seconda della persona».
Non sono (solo) le calorie a farci prendere peso. Accumuliamo grasso per decine di altri fattori: genetici, ormonali, metabolici, per i batteri che vivono nel nostro intestino (il famoso microbiota), per come prepariamo il cibo, come lo abbiniamo o non lo abbiniamo ad altri cibi, come lo assimiliamo, quanto e se dormiamo, quanto e se siamo stressate. Sempre più studi mostrano che se persone diverse consumano lo stesso pasto lo assimileranno in modi diversi: addirittura cambia l’impatto sulla glicemia e sull’accumulo di grasso a seconda di geni, dello stile di vita, degli ormoni in circolo, dei batteri intestinali.
Il conteggio delle calorie è molto rozzo e spesso sbagliato: sempre nel pezzo dell’Economist, si riporta per esempio che nel 2018 alcuni ricercatori americani hanno scoperto che, da più di un secolo, esageriamo di circa il 20% il numero di calorie che assorbiamo dalle mandorle. Non solo: il modo in cui cucini influenza il contenuto calorico di un alimento, così come, in alcuni casi, la temperatura a cui lo mangi. Guarda il pacco di riso nella tua dispensa e troverai un certo numero sulla tabella nutrizionale. Ma che ne sanno il Signor Scotti e il Signor Gallo Blond se mangerai quel riso in bianco, bollito, appena scolato e ancora fumante, o se lo lascerai raffreddare e lo mangerai il giorno dopo, magari saltato in padella con olio e verdure? Sembra controintuitivo, ma nel secondo caso avrebbe un impatto calorico inferiore. È solo un esempio, ma rende l’idea di quante e quali variabili possano influenzare l’assimilazione.
Del resto, se bastasse solo “assumere meno calorie” per stare bene, altro che proliferare di ketogeniche, diete degli antenati, diete del minestrone, integratori e altre diavolerie: ci basterebbe sederci a tavola con la calcolatrice. E, invece: non solo guardare a torta, formaggio e zucchine come fossero numeri è sciocco (l’abbiamo visto fin qui), ma è anche pericoloso. Le calorie non sono natura (l’abbiamo visto, non e-s-i-s-t-o-n-o per i nostri corpi), sono un prodotto culturale e come tale devono essere prese. Come cioè qualcosa che esprime una certa visione del mondo e che, finché continuiamo a utilizzarle, continuerà a perpetrarla.
Il boom del concetto di caloria, che già era diventato patrimonio comune negli anni ‘30 del secolo scorso, è infatti avvenuto negli anni ‘60 e poi proseguito negli anni ‘80 e 90 (pensa a Weight Watchers): l’industria alimentare cresceva, cambiava il modo di alimentarsi delle famiglie, le donne lavoravano sempre più fuori casa e avevano sempre più bisogno di maggiori informazioni sui cibi pronti che andavano acquistando. Non solo: con la crescente epidemia di obesità e parallela crescita della grassofobia e ossessione per la magrezza, fu facile incolpare il valore più alto nella scala di Atwater. Nasce di qui la fobia dei grassi alimentari, colpevoli di essere più “calorici” di proteine e carboidrati, ma anche il disastro dei cibi che, per compensare il “low fat”, si andavano via via riempiendo sempre più ricchi di zuccheri, amidi e sale, veri responsabili dell’epidemia di diabete di tipo 2 dilagante oggi.
Altro che strumento di benessere: proprio il computo calorico è stato uno dei mezzi più pericolosi con cui disconnettere il cuore e la pancia (il nostro istinto) dalla mano che porta il cibo alla bocca. Con cui allontanarci dall’unico cibo possibile - quello che, come dice Pollan, mangerebbe anche tua nonna - e dal piacere e dalla gioia del nutrimento per affidarci alla bufala del calcolo. Un calcolo peraltro fasullo.Oltre a spingere e validare infatti grassofobia e dietculture, tutto questo “mangiare con la testa” avvalla la scelta di prodotti industriali, che hanno magari anche il “30% di calorie in meno”, ma che non per questo sono più sani dei loro cugini “interi”.
Perché allora continua a resistere in modo così pervasivo questa grande bufala delle calorie? Perché è un modo semplicistico di controllare il mistero continuamente sfuggente e sfaccettato e unico che è ognuno di noi. Siamo andati sulla luna, abbiamo fotografato i buchi neri, siamo riusciti a dividere l’atomo eppure cosa avvenga davvero, in ogni istante, dentro quei trentotto trilioni di cellule che compongono i nostri corpi, noi, ancora non lo sappiamo. Non sappiamo nemmeno bene cosa accada davvero nell’interazione tra cibo corpo e mente: stiamo cominciando a intuire qualcosa adesso, grazie alle neuroscienze e agli studi di nutraceutica, epigenetica e nutrizione molecolare e biointegrata, ma siamo ben lontani da avere certezze matematiche. Ed è certo più facile pensare che tutti i corpi sono uguali e che tutti abbiamo bisogno di xxxx (inserisci un numero a caso) calorie al giorno, piuttosto che chiedersi di cosa, ognuno e ognuna di noi, abbia davvero bisogno per stare bene.
Quando soffrivo di disturbi alimentari, io avevo la testa piena di numeri. Sapevo a memoria quante calorie avessero 100 g di zucchine, una scatoletta di tonno e 3 gallette. E così per tutto quello che sceglievo di mangiare o non mangiare. Un calcolo costante e continuo, un mormorio di cifre nel mio cervello, che mi distoglieva da tutto il resto: prendermi - davvero - cura di me, prendere il mio spazio nel mondo, non aver paura delle traiettorie sghembe e tortuose attraverso cui sarei diventata quella che sono ora.
Non abbiamo bisogno di numeri e tabelle che validino quello che desideriamo mangiare. Non abbiamo bisogno di numeri sulla bilancia che ci dicano che andiamo bene così come siamo.
Smettere di credere che le calorie contino è, in questa prospettiva, un atto di grande onestà verso noi stesse, ma anche verso le donne che abbiamo accanto e verso i nostri figli e le nostre figlie.Smascherare la bufala delle calorie è per me un atto rivoluzionario e radicalmente femminista: come possiamo lottare per i nostri diritti, colmare il gender gap e prenderci cura di quello che davvero conta per noi quando perdiamo infinite ore a contare calorie che non esistono?
Buona pastiera. Grazie per aver letto Terracielo anche questa settimana.
A giovedì prossimo
Libri:
Pier Luigi Rossi, Dalle calorie alle molecole, Aboca Edizioni
Link:
Economist, Death of the calorie, 2019
Calcolo delle calorie: ecco perché scientificamente ha poco senso
È sempre un gran piacere ascoltarti, una coccola per la mia mente e per il mio cuore. Grazie!
Ciao Nina, pezzo davvero interessante, l'ho letto con molto piacere. Non ho ben compreso però perché hai indicato l'intero concetto di consumo delle calorie come patriarcale (a meno che non ti riferissi al fatto che lo studio fosse stato effettuato da un uomo, ma allora mi sfugge il significato della parola applicato a questo contesto).