#30 Stare con quello che ci capita
Che spazi abitiamo quando ci ammaliamo o si ammala qualcuno che amiamo? Che accade a corpo, cuore, parole? Ci addentriamo nel bosco del non sapere con una torcia d’eccezione: il nuovo libro di Chandra
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I visitatori celesti sono figure che portano un messaggio: non si scappa dall'invecchiare, dall'ammalarsi, dal morire, ma c'è una Via, opposta all'oblio che, nell'affrontarli, trascende il danno e la sofferenza. Per questo sono detti «messaggeri», perché recapitano notizia bruciante, messaggio che risveglia, e «celesti» perché ci aprono la soglia di significati altrimenti ignorati.
Preferisco chiamarli «visitatori», perché vengono a visitare chiunque, ma non sempre sono accolti come messaggeri: spesso la loro visita rimane solo un passaggio, un transito, sono considerati come disgrazie da subire o combattere, senza affaccio alla nuova prospettiva che apre un varco nelle nostre opinioni condizionate e preconcette, che apre all’aperto.
Chandra, I visitatori celesti (Einaudi)
Qualche mattina fa ha squillato il telefono. Stavo prendendo un caffè, c’era il sole, rincorrevo le cose da fare mentre le lavatrici del rientro mi ricordavano che l’estate era finita. Una voce dall’altro capo della cornetta mi ha dato una notizia terribile, una di quelle per cui spalanchi gli occhi nel cuore della notte e non riesci più a richiuderli. Una di quelle per cui, appena sveglia, giri con i piedi nudi e il cappuccino bollente tra le mani chiedendoti se sia vero. Se non l’hai solo sognato.
Una di quelle per cui, mentre lavori, fai la spesa, abbracci tuo figlio, sullo schermo del tuo cervello va in onda, a caratteri cubitali, una sola parola. Perché.
Perché succede che ci ammaliamo, perché succede che si ammalino le persone che amiamo. Perché? Un punto interrogativo destinato a restare lì, appeso a ogni cellula del tuo corpo, senza una risposta. E come al solito, quando le parole si fanno mute, io faccio tre cose. Prego, piango, leggo poesia.
Non per cercare parole che sappiano, ma per rendermi possibile abitare quello che non so. Per inciampare in parole che capiscano la mia oscurità, non che mi impongano chiarezza. Parole che, come dice Chandra
“si accovaccino con me, con me respirino affannate […]. Parole che sappiano aspettare. Parole che mi diano uno spintone verso quello che ancora non oso sapere. […]. Parole compagne del silenzio”.
Parole che, dette da altri, sappiano essere Cura per me. In Italiano (l’abbiamo già visto qui) il verbo “curare” è polisemico, mentre in inglese esistono due parole diverse a indicare concetti molto diversi: "to cure", curare e “to care”, prendersi cura. E, se non posso curare (guarire) un dolore, non vuol dire che io non possa prendermene cura. Pochi minuti fa, mentre facevo una doccia bollente, quasi a voler sentire i confini materiali del corpo e spremere i pensieri fuori dalla testa, come un tubetto di dentifricio consumato, ho pensato che Cura ha in sé la stessa radice di Cuore. E che anche rassicurazione ce l’ha.
Forse leggo le parole della poesia per cercare rassicurazione. Per dare voce a quelle parti di me che sanno di non averne.
Perché la Medicina ci cura, è vero, ma non sempre ci rassicura. E sapere che ci sono dei medici lì per noi non sempre basta a placare i battiti accelerati del nostro cuore, spaventato e solo di fronte al dolore.
Questa settimana Terracielo si interroga sulla malattia: sul suo significato, “sull’aperto che apre”, sul messaggio che porta, sugli spazi sghembi che abitiamo quando ci ammaliamo o si ammala qualcuno accanto a noi. E, nel bosco del non sapere, si addentra con una torcia d’eccezione. I visitatori celesti, l’ultimo libro di Chandra Candiani, che mi ha tenuto compagnia in questi giorni e notti spinosi.
Vi regalo qualcuno tra i tantissimi passi che ho sottolineato, con la speranza che vi siano di Cura e rassicurazione se state soffrendo, per voi o per qualcuno vicino al vostro cuore.
La malattia come visitatore celeste e la Cura che viene dalle parole della poesia: anche questa è Medicina. Cominciamo.
Quando parliamo o ascoltiamo parlare di malattia, di vecchiaia e di morte, pensiamo spesso a fenomeni precisi, con un inizio e una fine, una cronicità, una guarigione, una conclusione, un'assenza. Ma in realtà, i visitatori celesti si presentano di continuo nelle nostre esistenze e hanno forma di briciole e frammenti, sparsi un po' ovunque nel tempo e nello spazio del nostro vivere. Non seguono un tempo lineare, non sono nelle date che finiamo per fissare e ricordare […] : sono scintille che luccicano qui e là nella nostra vita. Se ce ne accorgessimo, familiarizzeremmo con la malattia, la vecchiaia e la morte molto presto e con continuità, e non sarebbero più belve feroci che ci assalgono e che ci tocca combattere con altrettanta ferocia, ma mutamenti, inscritti nella nascita stessa, che portano a conoscere un'altra visione del sorgere, sostare, svanire.
La malattia può arrivare all'improvviso, ieri eravamo quasi sani e oggi una diagnosi ci mette spalle al muro in un'altra condizione, e ogni dolore, malessere, disagio ha una nuova geografia, rientra in una mappa, e la mappa è minacciosa.
Il corpo è segreto come un animale, un neonato, un albero, come una poesia; è necessario imparare ad ascoltarlo, a interrogarlo, a saper stare nel suo silenzio e nella sua grammatica sensoriale di battiti, bruciori, stretture, evanescenze, fitte, spiragli, allagamenti, ghiacciai e incendi.
Quando il corpo duole, si cancella tutto il resto, non siamo altro che quelle sensazioni anonime e divoranti, non c'è memoria di sé, non c'è futuro se non come minaccia del peggio; ma se cerchiamo di stare con audacia dentro le sensazioni senza aggiungere commenti, immagini, pronostici e senza togliere la brutalità del sentire, ma respirando dentro di esse, arieggiandole delicatamente, ecco che qualcosa diminuisce, non aggiungiamo al dolore la sofferenza di soffrire, collaboriamo con la sensazione, ci fidiamo, le diamo spazio; e allora, o diminuisce, o si sa di dover chiedere soccorso, e spesso si rivela anche di quale genere di soccorso abbiamo bisogno.
Quale messaggio celeste porta la malattia? Un messaggio multiplo e personalizzato, l'audace gesto di strappare i veli davanti alla precarietà incolpevole della vita. Quel che accade è che cambiano le nostre priorità, si stravolge il senso di quello che conta, si vede in trasparenza il necessario e si opacizza il futile, gli affetti veri scintillano e le relazioni artificiose si spengono con un soffio. E spesso contano cose piccolissime e perdono senso cose considerate sublimi.
Sforzarsi di rientrare nel mondo dei sani, dei normali, degli eternamente attivi, utili, produttivi, toglie forze e senso a quel che stiamo vivendo, qualunque cosa sia: vecchiaia, malattia, male dell'anima. Nello stesso tempo, non sono queste condizioni a definirci, noi siamo molto di più di quel che ci capita, e il modo in cui viviamo le situazioni è molto più determinante delle situazioni stesse. Il non lasciarsi imprigionare da una condizione ma sentire la propria intricatezza, quel che sborda, quel che non sta dentro la definizione momentanea di noi, dà la possibilità di essere piú larghi, piú interi, meno contingenti e piú presenti. Non è facile, ma il punto di partenza è proprio stare con quello che ci capita, anche con il male, la malattia, i sintomi, e fargli compagnia, e accudirli, curarli, senza sentire che siamo solo quello. Piú entriamo in intimità con qualcosa e piú sconfiniamo dai suoi bordi, siamo il testimone, il narratore silenzioso, lo studioso di noi stessi e della condizione in cui siamo, ma anche di quello che la scavalca, le sfugge, si libera.
Titoli di Coda (Link utili):
Un libro, ovviamente: I visitatori celesti, Chandra
Un disco, che ho sempre in loop nei giorni-agguato e nei fatti-tempesta: Una somma di piccole cose, Niccolò Fabi
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Scrivimi all’indirizzo ninagiga82@gmail.com e ti spiego come funziona e cosa aspettarti. E scopriamo insieme se, come Holistic Nutritionist for body and soul e Certified Health and Wellness Coach, sono la persona giusta per quello di cui senti di aver bisogno.
Grazie per essere stata e stato con Terracielo anche in questa settimana di parole affannate. A giovedì prossimo.
Un abbraccio amica cara. Che generosità, la tua, quella di trovare parole in questi momenti che possano rischiarare anche le tenebre di altri.
Cara Nina,
anch’io in questi giorni sto leggendo “I visitatori celesti”, e le parole di Chandra mi hanno fatto tornare in mente il suo “voglio imparare a tremare”… Grazie per queste tue riflessioni che risuonano autentiche e vibranti anche dentro di me. Ti abbraccio ❤️